C’è baruffa nell’aria. Era lo slogan (non voglio scrivere claim, che è più ganzo e fa capire che uno un pochino razzola di comunicazione) che chiudeva un famoso spot di un profumo agli inizi degli anni Ottanta. A Siena invece torna in auge la “baruffa” di sempre, quella che fiancheggia il potere di turno e ammonisce i critici del potere di turno. I censori di chi critica, parlano come se avessero avuto la grazia del bene comune. Come quelli che nelle Contrade parlano sempre “per il bene della Contrada” e poi organizzano le cordate per le commissioni elettorali.
Accade una bella cosa, il Mercato nel Campo, per esempio – ben organizzato e ben gestito tra Confesercenti (e altre associazioni) e Comune; e speriamo che sopravviva al 2016 – e spuntano fuori gli spargitori di retorica patriottica che fanno di tutta l’erba un fascio e cercano di trar profitto in chiave di consenso.
Tra i depositari del bene della città, ce ne sono assolutamente in buona fede; ce ne sono di quelli abituati a fiancheggiare chi governa per indole; ci sono poi quelli che lo fanno per fede politica; chi per grazie ricevuta e ce ne sono di quelli che lo fanno per mestiere. Specularmente, anche i “criticanti” potrebbero appartenere ad ognuna delle quattro categorie (esclusa la grazia ricevuta e il farlo per mestiere…).
Se non fosse per un piccolo particolare: per 15 anni il regime del sistema Siena ha messo la sordina ad ogni critica. Ha guidato il consenso con una comunicazione instradata e coordinata; ha profuso a piene mani bolle di esilio e indotto a licenziamenti giornalisti scomodi; non ha lesinato minacce nei confronti di chi voleva far rientrare a Siena giornalisti evidentemente ritenuti poco malleabili; ha distribuito certificati di “non gradimento”, scomuniche e attestati di “pericolosità sociale” a tutti i “contras”, dai blogger ai comitati civici. Tutti erano “diversi” e per questo pericolosi in quel paradiso terrestre che era Siena.
“W la nostra Siena, che è tanto bella. E che palle queste polemiche, non vi va bene niente”: è questo lo slogan – non voglio scrivere “claim”, per avversità anglofona – che rimbalza. Ce ne sono di abilissimi a trasformare ogni considerazione non elegiaca, in una “critica a Siena”, decretando così che chi governa la città, “sia” la città, con una sovrapposizione che può far breccia solo negli imbecilli. Chi governa la città non “è” la città.
L’orgoglio per Siena non può essere furbescamente tradotto in un inno al volemose bene: “stiamo insieme, tutti uniti – ovviamente intorno al governante di turno – nella nostra bella Siena. E così usciamo dalla crisi”. E poi si aggiunge: “chi critica, lo fa perchè è già in campagna elettorale”. E ancora: “Non si critica mai sulle cose, lo si fa per partito preso”. In passato tutto questo era professionalmente meglio organizzato, c’era una chiara committenza pubblico-politico-finanziaria che oggi non c’è; poteva far conto su risorse da distribuire ai media e su un sistema di potere in cui l’opposizione numericamente più consistente – Forza Italia – era verdiniamente connessa al partito del potere consolidato, il Pd. Facile che tutto il resto – poco – diventasse paccottiglia da additare come fuori di testa. Il potere, quando è forte, riesce sempre a trasformare gli antagonisti in nemici del popolo ed attentatori al bene comune. Quando è debole, c’è il rischio di “sfiorare il ridicolo” della cortigianeria strisciante.
Che però, in una città distrutta dagli eccessi del proprio potere, si torni ad avvertire un clima di velenosetta intolleranza verso chi esprime critiche, è davvero inquietante. Uno degli ingredienti dello scempio degli anni scorsi, della perdita di risorse che erano storicamente della città, per miliardi e per miliardi di euro, è stata proprio la silenziosa connivenza dei senesi. Che negli anni successivi allo scempio si torni a usare la bellezza di Siena come antidoto ai rompicoglioni che criticano, è un po’ puerile.
Anche perchè perfino il partito di maggioranza, il Pd, continua a reclamare “il cambio di passo” nell’operato della giunta comunale. E anche su vicende decisive quali quelle dell’economia e del lavoro, dichiarando preoccupazione per le vicende Gsk, Bassilichi e Mps, l’Unione Comunale del Pd scrive così: «…il nostro territorio non merita di ricevere un’ulteriore ferita, in particolare nel momento in cui si potrebbe tornare finalmente a disegnare non politiche emergenziali, ma politiche di rilancio. In questo senso il consiglio comunale deve diventare anche sostanza di un cambiamento di passo nell’adozione di politiche di programmazione e sviluppo, non più rimandabili, per rendere il nostro territorio ogni giorno più appetibile e attraente per chi faccia impresa, di qualunque dimensione». Cioè vuol dire che per ora, secondo il perno politico della maggioranza che sostiene la giunta comunale, non sono state adottate “politiche di programmazione e sviluppo”. E mica è una mancanza da poco.
Se perfino il Pd, costantemente, rivolge critiche alla giunta guidata da un sindaco Pd, può darsi che occasioni per esprimere critiche non manchino. Senza scomodare macchinazioni sotterranee lesive dell’amor patrio. Più laicità da ambo le parti ci vorrebbe e più rispetto bipartisan. Siena è un bene comune per davvero, la cui bellezza e unicità non possono essere strumentalizzate per rintuzzare le critiche a chi governa. Che nelle città normali esistono, senza sottolineature retoriche. E anzi, anche perchè sono sempre esistite, quelle città sono normali.
Certo che in nome della medesima laicità che qui si richiama, si può continuare ad additare il “criticante” o il “contras”, cercando di contrastarne gli argomenti. E’ non solo legittimo, è un po’ il sale della democrazia. Ma insinuare in modo surrettizio, tra il dire e non il non dire, che chi opera con spirito critico sia nemico della “nostra bella Siena”, ne stia in qualche modo turbando la pax sociale e dormiente, questa – per lo scrivente – è operazione sciatta e servile. E d’altronde anche i cani abbaiano alla luna.