David Chiti parla con pacatezza, calmo, quasi a cercare l’interruzione per ricevere conferma di ciò che sta dicendo, un appunto, un consiglio. L’andatura del suo ragionamento è intercalata da brevi pause, arretramenti, che però non sono arroccamenti. Lui studia continuamente il proprio interlocutore, lo scava dentro non per giudicarlo quanto per capirne il terreno e misurarsi. Nel parlargli mi viene in mente che la qualità che ho sempre rintracciato nei politici di razza è quella di avere grande conoscenza della materia umana. Ancor prima che tatticismi e strategie machiavelliche, in politica pesa il fatto di riuscire a parlare al cuore delle persone. La politica è comunque ambivalenza e nella tensione tra passioni e raziocinio quest’ultimo finisce con l’avere un peso specifico sorprendente. Specialmente quando si tratta di elezioni amministrative, dove la spinta emotiva è spesso derogata dalle necessità contingenti. David Chiti è candidato sindaco di Siena con la lista Siena DOC.
Cosa l’ha spinta a candidarsi sindaco?
«Sono sempre di più i senesi che vanno a cercare lavoro fuori, che se ne vanno via dalla nostra Città, che perdiamo per sempre. Resta chi ha una rendita di posizione familiare o chi non ha nulla da perdere. Viceversa, a Siena sembra non vi siano più opportunità per chi ha veramente voglia di fare, di mettersi in discussione. Rispetto a questa situazione serve un cambiamento di rotta anche emotiva, una spinta in grado di attivare una tendenza positiva che faccia da contraltare a questa situazione deprimente. In questo senso la mia candidatura va nella direzione di un cambiamento concreto, non necessariamente traumatico».
Su quali istanze pensa sia necessario fare leva per questo cambiamento “emotivo”?
«La sinistra ha finito con il marginalizzare categorie di cittadini in difficoltà, particolarmente in specifiche zone urbane. Bisogna trasformare il disagio in energia, coinvolgendo questi cittadini, spingendoli ad occuparsi della cosa pubblica, quale opportunità di riscatto sociale. Allo stesso tempo c’è la necessità di coinvolgere quanti a Siena sono venuti per studiare, i cosiddetti fuorisede, perché costoro hanno scelto la nostra città e questo è un chiaro segno che credono nelle opportunità che essa può offrire loro: attualmente in termini studio, poi forse anche in termini professionali. Questo per Siena sarebbe indubbiamente un arricchimento».
La grande affermazione del Monte dei Paschi ha coinciso con l’affermazione di modelli assistenzialistici. Ciò ha significato politiche speculari, clientelari, familistiche, di bottega, che hanno fondamenta solidissime. Come pensate di scardinare questo sistema?
«La necessità può essere una forza. Abbiamo esperienze esemplari; faccio l’esempio di Scienze della vita. Un modello che andrebbe allargato alle start up, per stare vicino a chi si mette in discussione. Ai giovani bisogna far capire che vale la pena mettersi in proprio. E, quindi, la politica deve creare modelli in grado di mettere in relazione chi ha bisogno di investimenti con investitori pronti a scommettere su Siena. Mi viene in mente la proposta di riportare in Città le antiche botteghe medievali, gli antichi mestieri, le produzioni artigianali di tradizione. Tutte cose che rappresentano qualità e identità e allo stesso tempo enormi risorse per il benessere cittadino. Nel bene e nel male la cultura montepaschina è ormai il passato; ora bisogna ritornare alla creatività, a quella intraprendenza che ci ha reso orgogliosi di essere senesi».
Lei vede Siena come una città rassegnata?
«Sì, purtroppo attualmente lo è. Per questo ci vogliono forti stimoli emotivi e capacità di coinvolgere realmente i cittadini. Senza remore o tentennamenti. Accanto naturalmente alle idee e alle competenze. E’ questa la vera sfida. Fare uscire Siena dal cono d’ombra della rassegnazione nel quale si è ficcata».
Lei è conosciuto per l’associazione “Noi Siena”. Si può dire che la sua più che lista civica è una lista associazionistica?
«Il modello politico lo assegnate voi analisti. Non mi interessa la forma, l’estetica della politica, ma la sostanza delle cose. I modelli, come mezzi, possono sicuramente tornare utili al ragionamento. In questo senso “Noi Siena” è la classica associazione che si caratterizza per il fare, per mettere insieme gente di estrazione sociale e culture diverse in vista di un fine comune. Messe una accanto all’altra con obiettivi concreti le persone finiscono con l’anteporre il fare, le realizzazioni concrete, alle chiacchiere sterili. In tal senso il modello associativo può valere quale esempio per le politiche di cui Siena oggi necessita. Un modo disinteressato di lavorare e stare insieme da parte delle persone coinvolte in nome del bene comune».
Ha parlato di identità. Nei momenti di difficoltà che ci sono stati (e forse ci sono ancora) la senesità a suo avviso ha rappresentato un limite o un baluardo?
«La senesità per fortuna esiste, è un sentimento che appartiene profondamente a questa Città ma che non può riguardare chi ci è nato e basta. In questo senso può diventare un limite. La senesità deve riguardare chi ama la città. Su questo bisogna fare una riflessione spassionata».
Che lista è la sua, chi sono i candidati?
«Il carattere qualificante della nostra lista risiede nel fatto di rappresentare una vicinanza vera ai cittadini. Dal medico al disoccupato, la lista è di estrazione professionale e sociale disomogenea. Ma i candidati hanno tutti vissuto l’esperienza del fare, del mondo associazionistico: un unico spirito li accomuna».
La vostra associazione vanta di aver portato avanti il progetto di una legge regionale…
«Sì, abbiamo raccolto tremilacinquecento firme. E’ la legge del pronto soccorso pediatrico, che ora è attivo in tutti gli ospedali della Toscana. Ne siamo orgogliosi. E ci siamo dati un nuovo obiettivo. Quello del 118 pediatrico. Ecco, questa secondo noi è la capacità di attivare percorsi in grado di offrire risposte concrete ai cittadini. Senza retorica, con molta sostanza».