Abbiamo imparato molto dalle partite “gialle” dell’altra sera: gialle perché hanno sancito il passaggio ai quarti di Brasile e Colombia, che di quel colore si vestono abitualmente. E’ stato come alzare lo zerbino di casa, e scoprire improvvisamente dove stava nascosta la chiave: in quel caso, la chiave per scardinare questo Mondiale. Velocità e tenuta atletica, come volevasi dimostrare: prerogative essenziali in un torneo condensato in pochi giorni ed oppresso dal caldo. Con i ritmi abbastanza allentati e con un gioco effettivo assai basso (55 minuti scarsi contro i 60 abbondanti di Sudafrica 2010). In questo contesto, l’idea migliore l’hanno avuta quelle Nazionali che hanno saputo cortocircuitare le partite e hanno proposto gente sveglia, in ordine fisicamente (quindi, con buoni tempi di recupero) e soprattutto VE-LO-CE. Si è visto nitidamente nella gare: il Cile ha tenuto in scacco il Brasile, portandolo ai rigori. Vero che il Brasile aveva maggior classe, ma le occasioni più belle le hanno avute i Cileni, e nel secondo tempo li infilzavano che era un piacere. Tra Colombia e Uruguay non c’è stata neanche partita: nell’ippica usano dire di un tal cavallo che “va a velocità doppia”… ecco, i Colombiani non riuscivano neanche a prenderli a calci (attività nella quale gli Uruguagi normalmente eccellono).
Servono atleti in forma Insomma, in mancanza di fuoriclasse ci voleva gente in forma e, soprattutto, veloce. Veloce nel senso dello scatto breve, la velocità cosiddetta “nervosa”. E gente capace di saltare l’uomo o comunque metterlo in difficoltà nell’uno contro uno. Non a caso, i calciatori che hanno fatto la differenza sono stati quelli Robben, Cuadrado, Sanchez. Non so voi, ma a me è piaciuto tanto De Maria, dell’Argentina. Noi, di gente in forma non ne avevamo. E di gente veloce, pochina: come caratteristiche direi Insigne e Cerci, che però con il Costarica non ci hanno messo mano. Più Verratti, che invece è tra quelli che esce meno peggio. Il teorema del tikitaka sonnolento e orizzontale è saltato in pieno (Pirlo alleggerisce a De Rossi, che passa a Marchisio, che scarica a Barzagli). E per farlo saltare sono bastate due accelerazioni del Costarica, il peggior Urugay del decennio e un arbitro abbastanza cornuto. Eravamo roba fragile, comunque. Destinata a rompersi presto. La squadra era sgonfia, e la filosofia che la sosteneva, sbagliata. Siamo apparsi lenti e goffi in un mondo ultracompetitivo che non perdona più niente, e meno che meno la lentezza e la goffaggine.
O dentro o fuori Era una filosofia che poteva andar bene in un campionato di 38 partite, che ti consente una carburazione, una conoscenza dell’avversario e l’elaborazione di una tattica, nella quale siamo maestri. In un torneo nervoso e ravvicinato, abbiamo speso una moneta fuori corso. Se poi si aggiunge che il Mondiale è un continuo dentro o fuori e noi Italiani lo scontro secco non lo sappiamo proprio gestire, ecco che la frittata è fatta. Chiaro che poi, alla lunga, non vincerà la Colombia e la differenza la faranno Messi o Neymar, ma intanto la chiave mi sembra quella trovata la sera scorsa. Nemmeno troppo casualmente.