Piu prigionero del Pd, dei tanti Pd senesi, che indagato. Più debole di prima. Nonostante abbia detto di non avere intenzioni di dimettersi. E’ il dato politico più evidente che emerge alla fine del week end delle parole, successivo al venerdì della notizia su Valentini sotto inchiesta. Oltre alle 50 sfumature di maggioranza, incapace di esprimere, nella tripletta di comunicati, una posizione univoca in appoggio al “suo”sindaco, c’è la legittima richiesta di dimissioni delle minoranze, con Eugenio Neri ispirato ma ancora un po’ troppo girato all’indietro, ancora voglioso di sparare sui ” marittimi “del 2013. Eppure il fronte di chi, nel futuro, si schiererà per mandare il Pd all’opposizione, provando a contrastare anche lo stellone di Renzi, non potrà che includere anche chi ha cambiato idea, chi e’ deluso, chi si è sentito tradito.
Intercettazioni: Monteriggioni si, Mps no Ma riandiamo alla fonte della notizia, l’atto della magistratura. Intanto appare un paradosso che nella Siena dove gli indagati abbondano, il sindaco di Siena sia indagato per vicende che riguardano Monteriggioni, comune accanto. E per storie tutte da chiarire , Bruno Valentini è comunque il primo sindaco in carica a Siena, che viene indagato. Nelle 18 pagine di cui si compone l’atto della magistratura che avvisa Valentini di essere sotto inchiesta, e’ soprattutto attraverso le intercettazioni telefoniche che si può ricomporre, per quanto possibile, il puzzle delle accuse. Ed è un altro paradosso: nella Siena sotto inchiesta per essere stata rasa al suolo dall’intreccio di potere del passato, nessuna intercettazione telefonica circola sui fatti del Montepaschi. Invece abbondano su Monteriggioni.
I fatti risalgono agli anni 2009-10 e riguardano una delle travagliate vicende urbanistiche del Comune di Monteriggioni – non quella più eclatante di Montarioso – di cui il primo cittadino di Siena e’ stato sindaco dal 2004 al 2013. Valentini è accusato di omessa denuncia e di essere al corrente della sussistenza di un atto del Comune su cui grava l’ipotesi di falsità. L’informazione di garanzia era stata da mesi annunciata da Raffaele Ascheri nel suo blog e nei suoi interventi su Siena tv.
Valentini va così a rinfoltire la lunga schiera di parlamentari, sindaci e amministratori del Pd, che sono indagati. In Toscana lo è il governatore uscente e ricandidato Enrico Rossi; in Campania invece il vincitore delle primarie Pd, il “giovin” Vincenzo De Luca è candidato governatore nonostante sia addirittura già stato condannato. Quando i mulini erano bianchi, e Antonio Banderas non ruzzava ancora con le galline, bastava un avviso di garanzia a amministratori di tradizione comunista e post comunista, per indurli a lasciare incarichi istituzionali. Nei comunicati stampa degli allora rari addii si usavano formulette tipo: “mi dimetto in modo da essere più libero di dimostrare la mia innocenza”. A questa eredità si ispirò anche Franco Ceccuzzi, indagato per la cena a Salerno, non sindaco ma candidato in pectore per esserlo di nuovo, preferendo la dignità della rinuncia a una campagna elettorale da girone infernale. Oggi è prassi rimanere in sella. Come fa anche Valentini, incalzato dalle opposizioni a dimettersi, accusate invece di sciacallaggio ma solo da una parte della maggioranza (Siena Cambia, Oltre e Riformisti).
Il Pd sornione Invece il Pd, costola pregnante della maggioranza che sostiene il sindaco, per stringergli di più il laccio al collo, dice no alle dimissioni di Valentini, ma per farlo, riscrive anche i fondamenti della legge italiana. Dove l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva e nel processo è il pubblico ministero a dover rendere evidente la sua colpevolezza. E non e’ l’imputato a dover dimostrare la sua innocenza. Valentini non è neppure imputato, eppure in sole quattro righe le fondamenta della legge italiana, sono invece rovesciate dal Pd senese, che, sornione, annuncia di “confidare che il sindaco saprà dimostrare la propria estraneità ai fatti contestatigli”. Come dire, Valentini stai in campana! D’altronde gli antefatti politici erano già incalzanti da parte delle componenti che continuano a essere fondamentali nel Pd senese. I monaciani un mese fa avevano definito Valentini “sindaco illegittimo”, facendo i profeti dopo la rinserrata subita con l’esclusione del loro candidato Piero Ricci dalle regionali.
Uomini e donne ancora vicine a Ceccuzzi, trovando nell’unione comunale un habitat naturale e disponibile, dieci giorni fa avevano per l’ennesima volta chiesto un cambio di passo a Valentini, mettendo sul tavolo anche la carta di Siena aperta, con Mauro Marzucchi pronto, dopo essere stato vicesindaco di Cenni e Ceccuzzi, a giocare un ruolo anche nella “nuova” era amministrativa. In più ora, chi dice che “Ceccuzzi era centomila volte meglio” ha una carta forte da giocare quando ce ne sia bisogno, cioè quando si ritenga di dover tirare un po’ il laccio al collo del sindaco: e cioè il comportamento opposto dei due, di fronte all’informazione di garanzia.
Su tutto questo, renziani non pervenuti. Eppure il silenzio non è d’oro a Siena, neppure e soprattutto in campagna elettorale, se si vuole rendere credibile, in futuro, una certa idea di città , nuova per davvero.
Tre anni in gabbia Insomma, concludendo. Valentini non dimettendosi pensa – in buona fede – di aver raggiunto buoni risultati nell’attenuazione del debito di bilancio comunale e di aver diritto e dovere di andare avanti; pensa alla responsabilità di evitare un altro commissariamento; e avverte anche la necessità di rispettare la volontà popolare che, seppure di poco, lo ha prescelto. Purtroppo non è così. La volontà popolare era un’altra. I cittadini che avevano scelto Valentini credevano davvero in una stagione diversa della città’. Non avevano certo votato per un sindaco in gabbia, prigioniero delle componenti del Pd. Che ora avrebbe però, l’occasione di tornare libero. Dimettendosi non perché è indagato, ma perché consapevole che il suo partito ora lo tiene ancora di più in scacco, limitando così i due presupposti fondamentali per un sindaco: l’autorevolezza e l’indipendenza nelle decisioni. L’alternativa che ha Valentini, è quella di altri tre anni in gabbia , restando prigioniero di vecchie logiche non superate. E con lui, la città. Oppure può interpretare il fatto di essere indagato, come una specie di calcio di rigore. Mettendosi le cuffie, magari mentre corre o va in bici, caricandosi con la degregoriana “La Leva calcistica del ’68”, “Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore…”. E calciare comunque vada, uscendo, così, a testa alta, dalla gabbia. Come Nino.