Il 71% delle imprese toscane (in termini assoluti: 188mila su 263.137, ad esclusione delle imprese agricole, gli studi professionali e le società finanziarie) è attivo nel terziario, ovvero nei settori commercio, turismo e servizi, che da soli contribuiscono per il 77% alla creazione del valore aggiunto regionale ed esprimono il 61% dell’occupazione. Si tratta per lo più (al 96%) di piccole e piccolissime imprese con un massimo di nove addetti, che si confermano così vera e propria spina dorsale dell’economia toscana. Una ‘spina dorsale’ che ora guarda al futuro con un po’ di preoccupazione: nei primi mesi del 2019 un’impresa su tre segnala una diminuzione dei ricavi. E con i ricavi cala anche il clima di fiducia, soprattutto per gli operatori del commercio al dettaglio, ormai da anni alle prese con la contrazione dei consumi interni, mentre ei colleghi del turismo restano più ottimisti. È quanto emerge, in estrema sintesi, dall’Osservatorio congiunturale sul terziario in Toscana al primo semestre 2019, condotto da Format Research per conto di Confcommercio Toscana e presentata oggi a Firenze nella sede operativa dell’associazione di categoria, alla presenza della presidente Anna Lapini, del direttore Franco Marinoni e del presidente di Format Research Pierluigi Ascani.

Unico comparto in crescita Secondo l’analisi, il terziario è l’unico comparto economico che si mantiene in crescita in Toscana, attenuando le perdite degli altri: sebbene infatti il saldo generale fra imprese nuove e cessate nel 2018 sia stato negativo (-661, 23.681 nuove contro 24.342 cessate), quelle di commercio, turismo e servizi sono aumentate di ben 1.929 unità (17.326 nuove contro 15.397 cessate). Positivi anche i dati occupazionali, anche in virtù delle stabilizzazioni dei contratti già in essere: quattro imprese su cinque sostengono che nel primo semestre la situazione sia migliorata o consolidata. Si mantiene invece piuttosto freddo il rapporto con le banche: meno di un’impresa su cinque (19%) ha fatto domanda di credito, nel 48% dei casi per esigenze di liquidità e di cassa, poi anche per effettuare investimenti. Due su tre si sono viste accettare la richiesta ed è un dato positivo, che testimonia l’affidabilità degli imprenditori anche secondo i criteri sempre più rigidi applicati dagli istituti di credito. Ma le condizioni sembrano irrigidirsi rispetto al passato.

Il direttore Marinoni: «Dal terziario il contributo più importante» I risultati dell’indagine sono disponibili anche a livello provinciale. «In ogni provincia toscana è proprio dal terziario che arriva il contributo più importante alla composizione del valore aggiunto: dal 69% di Prato all’85% di Grosseto passando per l’81% di Livorno e il 79% di Firenze e Massa-Carrara-  ha sottolineato il direttore Marinoni – segno che offre importanti opportunità di investimento per gli imprenditori, oltre che di autoimpiego per i giovani e quanti non riescono a collocarsi sul mercato del lavoro. Un equilibrio che si può mantenere solo se le istituzioni nazionali e locali, nella definizione delle strategie economiche, tengono presente la particolarità delle imprese del terziario. Di piccola dimensione nella maggior parte dei casi, con pochi dipendenti, faticano più delle altre ad ottenere credito ed hanno meno risorse per abbracciare l’innovazione. Vanno quindi traghettate verso il futuro con una serie di provvedimenti specifici, anche intervenendo sulla formazione».

Il presidente Lapini: «Vanno tenuti in grande attenzione i segnali di malessere» «Il terziario è una componente viva e vitale dell’economia toscana, ma non può essere lasciata a se stessa – ha aggiunto il presidente Lapini – la crescita che l’ha interessata in questi anni è frutto di una serie di concause: il grande sviluppo del turismo e del “fuori casa”, che ha incrementato strutture ricettive e pubblici esercizi; l’esigenza sempre più marcata di servizi alla persona e all’impresa, soprattutto di alto contenuto tecnologico e innovativo; poi anche le perdite occupazionali della produzione, con tanti fuoriusciti che si sono rimessi in gioco come imprenditori in settori che, come il commercio, potevano offrire buoni risultati a fronte di investimenti anche modesti. Ora però la situazione si va saturando, per cui vanno tenuti in grande attenzione i segnali di malessere che arrivano anche dal terziario. Se i consumi interni non ripartono, il contraccolpo sarà duro, con l’export appeso al filo delle politiche internazionali. In questo senso, l’aumento dell’Iva aggraverebbe ulteriormente le cose».