«Papa Francesco ci ha colpito per i suoi gesti, il modo semplice e naturale con cui si è presentato, il suo abbassare il capo per chiedere alla folla di San Pietro di pregare per lui. Un’umiltà che può portare con sé il vento del cambiamento». A parlare è Massimo Orlandi, giornalista e scrittore toscano intervistato da agenziaimpress.it. Orlandi è tra i fondatori della Fraternità di Romena, piccola comunità nata nel 1991 in Casentino nel segno dell’accoglienza, dell’attenzione e dell’ascolto. Orlandi all’indomani dell’elezione del nuovo Pontefice ha intervistato sul suo blog “Prendi il largo” il fondatore della comunità, don Luigi Verdi e il giornalista vaticanista di Radio Rai, Raffaele Luise (leggi). «L’ arrivo di Papa Francesco può rappresentare davvero l’atteso segnale di cambiamento nella chiesa? – scrive Orlandi nel blog –  E’ la domanda del giorno. Una domanda che, più che le scelte che verranno, riguarda per ora le sensazioni che ci ha trasmesso Francesco I nelle sue primissime uscite».

Il post dedicato al nuovo Papa è ispirato dall’idea del cambiamento. Perché?
«Perché quello che noi di Romena abbiamo guardato con attenzione sono stati i primi gesti di Papa Francesco. La nostra comunità è un luogo che accoglie chi ha bisogno di cambiare la qualità della propria vita, nei rapporti con sé stesso e  in relazione agli altri. In quest’ottica la nostra attenzione si è rivolta a quell’atteggiamento umile del Pontefice. Nell’intervista sul blog don Verdi dice che ci sono due gesti significativi, «le dimissioni di Benedetto XVI sono state un gesto di umiltà e mitezza.  E in fondo  anche il primo contatto di Papa Francesco  con la gente radunata in piazza San Pietro ha avuto lo stesso stile. Umiltà e mitezza: il modo migliore per ricominciare». Ora però ai gesti deve seguire la concretezza delle azioni, quella richiesta dai fedeli che ogni giorno vivono la Chiesa».

Quali sono le tue aspettative sul nuovo Pontefice?
«Tempo fa ho incontrato l’Abbè Pierre, fondatore di  Compagnons d'Emmaüs, un’organizzazione per i poveri ed i rifugiati, che mi disse che in ogni comunità deve esserci un vetro rotto, la capacità di mostrare anche ciò che non è perfetto. «Se presentiamo la nostra casa, la nostra comunità  con un vetro rotto è perché accettiamo di mostrarci per quello che siamo, anche per ciò che di noi non ci piace». Con le dimissioni di Benedetto XVI la Chiesa ha dimostrato il suo vetro rotto. Quello che mi aspetto dal nuovo Pontificato è la capacità di proseguire su questa linea della trasparenza per capire e realizzare il dialogo con i credenti, molti dei quali sentono la Chiesa di oggi lontana».

Il contatto diretto con le persone è uno dei cardini della vostra comunità.
«Romena nasce attorno all’omonima antica pieve romanica in Casentino dove  sostavano i pellegrini del Medio Evo, in marcia verso Roma, un punto di riposo dove fermarsi per una notte, rifocillarsi e ripartire. La nostra comunità è un porto di terra, un punto di incontro per chiunque cerchi uno spazio semplice e accogliente dove ciascuno abbia la possibilità di rientrare in contatto con se stesso e, se vuole, con Dio, e di riscoprire il valore della condivisione con gli altri. L’auspicio è che chi si ferma da noi, poi riprenda il cammino con rinnovata energia».

Come è nata l’idea di fondare Romena?
«L’idea nasce da una crisi personale vissuta da don Luigi quando era viceparroco di Pratovecchio. Incominciò a viaggiare e quando tornò in Toscana propose al vescovo di Fiesole di realizzare questa comunità, ristrutturando l’antica canonica. Don Luigi era riuscito a superare la sua crisi e voleva condividere la positiva esperienza con gli altri. Oggi Romena conta due case di accoglienza e sale per incontri, tanti volontari, numerosi corsi (da quelli sull’amore per le coppie a quelli per imparare a relazionarsi con sé stessi e con gli altri) tenuti da esperti e dal 2005 siamo anche casa editrice».

Chi sono le persone che scelgono Romena come luogo per ritrovare sé stessi?
«Le persone vengono in contatto con Romena grazie al passaparola e negli anni è aumentato il numero di “pellegrini” che sono passati dalla nostra comunità.  Si è alzata l’età media dei visitatori che sono soprattutto donne perché sono più attente ai percorsi personali per rimettersi in gioco. Mentre il fenomeno a cui stiamo assistendo e che stiamo analizzando, è che sono pochi i giovani che singolarmente visitano Romena. Forse per timore di affrontare le proprie fragilità. Per questo dobbiamo fare in modo che qui trovino altri giovani ad aspettarli e ad accoglierli».

Come è avvenuto il tuo incontro con Romena?
«All’età di 25 anni sono stato tra i fondatori  della comunità perché ho sentito che questo era un luogo dove mi trovavo e mi trovo tutt'ora bene e mi sento autentico. Mi ritengo una persona in cammino e a Romena posso alimentarmi giorno dopo giorno grazie all’incontro con le persone che sono di passaggio, confrontarmi e condividere le reciproche esperienze».