Prima di tutto c’è il vento che su queste isole batte incessante. Prima di tutto ci sono le nuvole enormi che ridisegnano senza requie il cielo e ci sono le scogliere che precipitano su un mare profondo, pericoloso, agitato. Prima di tutto c’è un mondo alle estremità del mondo, con la sua gente rude, abbarbicata alle sue tradizioni, alla sua lingua gaelica, a una vita che non è cambiata poi tanto, nonostante i Suv e la tv satellitare. Pesca e pastorizia, pioggia e birra scura al pub: benvenuti nell’isola di Lewis, nell’arcipelago delle Ebridi, lembo di Scozia a ovest di tutta l’Europa.
Prima di tutto c’è questo, ma poi c’è un mistero, che riemerge prepotente dal passato e dalle acque di un laghetto prosciugato, con un piccolo velivolo e dentro la carlinga quello che rimane del corpo di una vecchia conoscenza. E c’è un omicidio che esige ancora verità e ci sono molti conti da regolare. Ci sono ragazzi che non sono più ragazzi, cresciuti con bevute, musica celtica e diverse cose che tra loro non sono state dette. E c’è Fin Macleod, ex poliziotto scozzese, che alla sua isola ha fatto ritorno per ricominciare un’altra vita dopo che la precedente è andata a pezzi.
Che bellezza “L’uomo degli scacchi” di Peter May (Einaudi), atto conclusivo di una trilogia che comprende anche “L’isola dei cacciatori di uccelli” e “L’uomo di Lewis”. Che fosse una trilogia l’ho scoperto solo nel bel mezzo del libro. Quasi quasi vado subito a comprarmi gli altri due. Quasi quasi vado a vedere se c’è un aereo per l’isola di Lewis.