Il tempo, ci si accorge di lui quando se n’è andato. Ovvio e banale quanto amaro e reale è il pensiero che a lui si rivolge sempre come un addio e mai come un arrivederci. Neanche i buoni propositi di un anno fa, gli stessi in gran parte di ora, ti hanno permesso di accoglierli, quei minuti, ore, giorni che ti sfuggivano dalle mani senza afferrarli. Non per trattenerli, ovvio, ma anche solo per pregarli di rallentare la loro corsa. Senza pensare al fatto che eri tu a correre guidato dalla frenesia per stare al passo col mondo che ha perso la percezione della velocità e il piacere della lentezza.
E questo hai fatto in questo 2013 per giungerne al termine e scoprire che il mondo ha un altro passo, che non è più giusto o sbagliato del tuo, ma differente. Il tempo ha una logica solo nella musica e tu non hai trovato il tempo di ascoltare. Né di osservare. Limitandoti qua e là a sentire o vedere.
Hai sentito le parole di speranza di Papa Francesco e hai visto la sua docile carezza al viso di un bambino. Avresti potuto, seppur ateo, ascoltare il suo messaggio di cambiamento e coglierne la vera essenza di fiducia. Avresti potuto osservare gli occhi di Bergoglio per capire o sperare che esiste una Chiesa diversa nel credere che due mani che si accarezzano siano la cosa terrena e materiale più bella che esista e che siano le stesse che si uniscono in una preghiera.
Hai sentito gli slogan urlati e i giri di parole delle campagne elettorali. Hai visto gli sguardi dei politici dentro le telecamere. Avresti potuto ascoltarle quelle parole se non altro per non permettergli più di credere che gli strilli siano il viatico del potere e le frasi siano uno shangai di termini. Avresti potuto osservare come gli occhi che fissano una luce rossa parlano ad una telecamera e non alle persone.
Hai sentito arringhe, difese e offese dentro le aule dei tribunali ed hai visto sventolare verità su fogli, documenti e numeri. Avresti potuto ascoltare i toni veementi che nascondono insicurezza e osservare quale sia il confine sottile tra il peso dell’errore e la voglia di assoluzione sul quale siede un imputato.
Hai sentito il racconto di una tragedia a Lampedua. Hai visto gli occhi di paura dei superstiti e le file di bare di chi non ce l’ha fatta. Hai sentito frasi di circostanza e visto pochi mesi dopo, nel luogo di quella stessa tragedia, uomini nudi in fila per una getto d’acqua gelata. Avresti potuto ascoltare il fremito delle parole di quei racconti contrapposta alla banalità di quelle frasi di circostanza per comprendere a fondo che la speranza non può e non deve tramutarsi in terrore. Avresti potuto osservare come in pochi erano a piangere su quelle bare e in tanti in fondo al mare per capire che a chi vive non può essere tolta la dignità.
Hai visto persone andarsene senza fermarti abbastanza ad osservare quanto ti avevano lasciato e ti sei limitato a sentire il dolore senza ascoltare i ricordi.
Hai visto le persone entrare in qualche modo nella tua vita senza forse osservare quello che ti stavano dando e le hai sentite nella facile e scontata quotidianità senza ascoltarne il difficile e prezioso pensiero al domani.
Hai visto le tante persone passarti accanto senza osservare che non erano quello che sono realmente.
Hai sentito i fiumi di parole esondare verso la spiaggia della nullità e non hai ascoltato abbastanza quei silenzi che ti scorrono lungo le emozioni.
Hai visto e sentito, in buona sostanza, un anno che ti volava ad un metro dalla testa senza osservare o ascoltare come questo ti sfuggiva. Hai visto e sentito il tempo passare senza osservare e ascoltare come passare il tempo.
Un 2013 in cui ti sei dato del “tu”.
Per l’anno che verrà ci sono “io”.
Questo è l’unico buon proposito che so darmi. Avrò cura di accorgermi del tempo nel momento in cui trascorre, non avrò la pretesa di prenderlo per mano ma non mi farò più prendere per mano da lui. Alla frenesia preferisco la lentezza e il tempo per me è musica.
Dedico questo 2013 a te che non sono io.