amore“Un amore tutto mio”, il romanzo di Anna Rita Vigilanza (Cantagalli, 2014) racconta una storia ‘normale’ (che non vuol dire ‘banale’) testimoniando come i sentimenti, i fatti, i drammi, le situazioni di vita, ancorché eccezionali, accadano comunque nella normalità dei giorni e delle esistenze. Perché è nella consuetudine, nell’ordine della quotidianità che essi vanno a inscriversi, e in quell’àmbito chiedono a noi di razionalizzarli, soffrirli, elaborarli.

E’ una storia che parla d’amore, del sentimento più universale che esiste. E dietro a quel titolo che suona perentoriamente esclusivista (“Un amore tutto mio”) ci sono, di fatto, tutti gli amori del mondo, il nostro vissuto, le nostre storie di affetti più o meno incompiuti, realizzati, rimpianti, vagheggiati. In quella pagine, infatti, si ripropone quasi tutto il repertorio di sentimenti che attiene alla sfera dell’amore, con relativi equivoci e contraddizioni. Cose note, certamente. Come la differenza che corre tra innamorarsi e amare. O come sia facile innamorarsi dell’amore e non di una persona vera, concreta. O, ancora, il narcisismo (prerogativa soprattutto maschile) che fa equivocare egoismo per amore. E’ questo ed altro il potere totalizzante, devastante, del sentimento amoroso, quando ci prende e, parimenti, quando ci abbandona.

Anna Rita Vigilanza
Anna Rita Vigilanza

Se dopo aver letto le pagine di Anna Rita Vigilanza andassimo a risfogliare “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes (1977) ci accorgeremmo come quella sorta di sillabario sull’amore redatto dal grande semiologo francese sia interamente contenuto nella storia d’amore e di amori raccontati da Anna Rita. Si ricorderà che il libro di Barthes, alla maniera di un dizionario, comincia con la voce Abbraccio e termina con Voler-prendere, passando da Angoscia, Annullamento, Appagamento, Assenza, Corpo, Dipendenza, Dolore, Dramma, Mutismo, Notte, Piangere, Scrivere, Unione, Verità. Sono 80 voci che intrecciando filosofia, psicologia, psicoanalisi, letteratura ricompongono, giustappunto, i frammenti di un discorso amoroso, che, all’epoca (e oggi?), Barthes riteneva fosse stato relegato nella solitudine.

Ebbene, le parole di quel dizionario vanno in qualche modo a cadenzare anche il racconto di Anna Rita. A testimoniare, appunto, come i nostri amori siano tanto unici (perché hanno a che fare con il “mio” amore, la mia persona, la mia carne, il mio universo affettivo, la mia felicità e la mia sofferenza) quanto universali. Proprio in ragione di tutto ciò il romanzo si fa apprezzare per come narri, al di là dei fatti e dei protagonisti, una storia comune. Anche la scelta del registro narrativo, così pacato, a mezza voce, colloquiale, senza acuti…, bene contribuisce a dare questa idea di vissuto dentro i giorni comuni. Tutto accade all’interno di una routine di quotidianità, di domesticità. Il luogo privilegiato degli accadimenti e dei pensieri è la casa. Quasi se ne sentono gli odori, quelli della cucina, quelli delle rose del giardino (altro spazio che per la protagonista è rifugio, punto di osservazione dentro se stessa, linea di confine tra un ‘dentro’ e un ‘fuori’). La stessa lingua usata è funzionale a questo registro narrativo. Lingua non-letteraria, discorsiva, usuale.

“Un amore tutto mio” è una storia di amori diversamente interrotti, di lutti da elaborare, di ricostruzione di una persona (di una donna) rispetto a se stessa e agli altri. Vicenda d’amore e di egoismo, di felicità e dolore, incontro e abbandono, di amicizie e di solitudine. Ma il finale (tutt’altro che è un happy end) più che esprimere rassegnazione fa intuire uno stato interiore di consapevolezza. Tant’è che un ipotetico sequel del romanzo dovrebbe forse ripartire da qui. Da questa consapevolezza che, a differenza della rassegnazione, non preclude scelte. Anzi, proprio in ragione di una presa di coscienza, sa discernere, sa scegliere, pur nella precarietà che inevitabilmente è insita nei sentimenti umani e in tutte le forme in cui si esplica l’amore (e non solo quello di coppia). Pare un paradosso, ma è nella consapevolezza di quanto fragili siano i sentimenti che quegli stessi sentimenti possono acquistare forza e durevolezza.