Congresso si, congresso no. Lo spettro della clamorosa scissione e tante prese di posizione, talvolta anche dure, che si susseguono in maniera frenetica. C’è grande caos all’interno del Partito Democratico e la Toscana gioca un ruolo centrale in tutto questo. In primo piano c’è la corsa tra Matteo Renzi ed Enrico Rossi per la segreteria del partito. Una battaglia molto accesa che sta letteralmente dividendo i democratici toscani. Lo testimonia un post su Facebook del segretario regionale Dario Parrini. «Caro Enrico – scrive in una lettera al governatore -, a noi premono la Toscana e il Pd. Come dimostrano Lucca e Pistoia, vogliamo unire e siamo animati da spirito propositivo. Tu purtroppo sei tornato dalemiano e stai rinfocolando le divisioni. Ma dividere fa male».
Rossi punta su congresso «La tua candidatura a segretario è del tutto legittima – aggiunge Parrini -. Ti invitiamo però a coltivarla con più equilibrio e responsabilità, pensando ai tanti progetti importanti per la Toscana per i quali nel 2015 abbiamo tutti lealmente appoggiato la tua ricandidatura». Dal canto, invece, Enrico Rossi pensa ad altro. Rilancia sul congresso, sulla scia di quanto fanno i suoi alleati (passateci il termine) D’Alema e Bersani. «Non lancio ultimatum o minacce di scissione, condivido la petizione di Michele Emiliano per la convocazione del congresso, ma non credo ad una santa alleanza contro Matteo Renzi», ha ribadito il governatore della Toscana in un’intervista ad Intelligonews.
Sì al congresso, no alle elezioni Congresso, congresso e ancora congresso. Questo il credo di Rossi. A far da eco alle sue parole c’è anche l’ex segretario Pd Pier Luigi Bersani. «Se Renzi forza, rifiutando il congresso e una qualunque altra forma di confronto e di contendibilità della linea politica e della leadership per andare al voto, è finito il Pd. E non nasce la cosa 3 di D’Alema, di Bersani o di altri, ma un soggetto ulivista, largo plurale, democratico», ha detto Bersani all’Huffington Post. «Non incontro Renzi, parlo in pubblico. E mi piacerebbe farlo nel Pd, dove è preoccupante il restringimento degli spazi democratici», conclude Bersani. E se Renzi aveva mandato un sms a DiMartedì per dire che «votare nel 2017 o nel 2018 è lo stesso. L’unica cosa è evitare che scattino i vitalizi perché sarebbe molto ingiusto verso i cittadini», Enrico Rossi replica con un «non si può andare al voto con una legge elettorale che mantiene capilista bloccati e collegi troppo grandi. Un eventuale accordo che non contemplasse modifiche di questo tipo, sarebbe un errore esiziale ed esporrebbe il Paese a una nuova stagione di drammatica incertezza e instabilità».
Pd: equilibri saltati? Insomma, mai le lotte interne al Pd sono sembrate accese e confusionarie come in questo delicato frangente politico. Gli equilibri sembrano essere saltati, come testimonia l’appello all’unità mandato dai segretari regionali Pd di Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria (commissario), province autonome di e Trento e Bolzano, Friuli Venezia-Giulia, Veneto (garante), Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Sardegna (garante anche in questo caso) e Sicilia. C’è anche la Toscana, ancora con Dario Parrini, a dire che «la scissione è esattamente il contrario di ciò che il nostro popolo ci chiede e si aspetta». Questo è quanto affermano i segretari regionali, come un disperato Sos di una base che vede i vertici del suo partito scontrarsi in maniera molto accesa e dura. Ma la lettera, però, fa capire anche da che parte il popolo ‘dem’: «La nostra gente, non può accettare questa campagna fatta da chi non rispetta le regole interne – si legge nella lettera dei segretari regionali -. Evitiamo gli errori del passato. Unità e gioco di squadra devono essere il modo migliore per essere pronti alle elezioni ed è paradossale che coloro che brindavano per il No al referendum come un evento epocale, oggi siano i primi a dire che tutto deve rimanere così fino al 2018. Nei territori ricerchiamo ogni giorno le ragioni dell’unità e in alcuni casi abbiamo pagato a caro prezzo le divisioni. Non facciamo lo stesso a livello nazionale».