Bisogna sempre guardare con attenzione, ed interesse, alle politiche di promozione turistica della Regione Emilia Romagna, poiché da decenni si sono dimostrati – subito dopo il Trentino Alto Adige – i più coerenti nell’investire soldi veri in questo settore, e spesso anche con spunti innovativi.
L’ultima notizia è di una settimana fa, un comunicato stampa del 28 febbraio in cui l’assessore regionale al turismo, Andrea Corsini annuncia la nascita ufficiale, con delibera di Giunta, di Destinazione turistica Romagna, «nuovo organismo previsto dalla legge regionale sull’ordinamento turistico, con l’obiettivo di sviluppare iniziative di promozione e valorizzazione dei territori e sostenere azioni promo-commerciali realizzate dagli operatori privati. A oggi sono cinque le Unioni comunali e 42 i Comuni che hanno aderito all’area vasta di destinazione turistica della Romagna che comprende i territori di Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini. Numeri molto elevati che rispecchiano le aspettative create su tutto il territorio dal nuovo ente pubblico strumentale che assorbe le funzioni delle Unioni di prodotto e delle Province».
E non finisce qui, come spiega ancora l’assessore Corsini: «Dopo la costituzione di Destinazione turistica Città Metropolitana di Bologna e la nuova Destinazione turistica che riguarda la Romagna, il prossimo obiettivo sarà l’istituzione della Destinazione turistica Emilia che coinvolgerà il territorio delle province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia».
Lo ripeto e lo confermo anche per mia esperienza personale, avendo lavorato in quasi tutte le regioni italiane: sono persone in gamba e se in Emilia Romagna hanno deciso di fare questa scelta di individuare tre aree considerate omogenee e di creare una struttura di gestione per ciascuno, meritano sicuramente un occhio di riguardo.
Soprattutto per capire una cosa: dopo aver tolto la competenza sul turismo alle province (che poi non sono state ancora abolite, ma solo private dei soldi necessari a fare il loro lavoro), la scelta di affidare un ruolo ai comuni, da soli o in forma associata, sarà efficace? Lo “spezzatino”, se così vogliamo chiamarlo, funzionerà in termini di efficacia promozionale e soprattutto in qualità dell’accoglienza? Oppure l’operazione ha solo un valore in termini politici, con sindaci ed assessori comunali che si vedono riconosciuto un ruolo, e possono quindi pavoneggiarsi a qualche convegno sul turismo, dicendo che stanno “lavorando” per il loro territorio?