“Il marchio Toscana da solo non basta. Piccolo è bello, puntiamo sui territori”. Finalmente qualcuno comincia a dire che le cose così non vanno. A parlare è il presidente della Camera di Commercio di Grosseto e vicepresidente nazionale di Unioncamere, Giovanni Lamioni che, intervistato da La Nazione, dà voce a quello che in tanti pensano ma in pochi esternano. Questi anni di centralismo burocratico regionale non ha prodotto grandi risultati e occorre tornare a dare voce e spazio ai territori.
La polemica (anche se di polemica ancora non si tratta) nasce dopo la vicenda della sciagurata  campagna di promozione turistica “Divina Toscana” (“autogol clamoroso”, dice Lamioni) voluta dalla Regione Toscana (vedi), presentata alla Bit di Milano e subito rinnegata dal presidente Enrico Rossi con un semplice Tweet. Per colpa di certi taroccamenti alle immagini – e anche di certe banalità che avrebbero dovuto richiamare alla mente il Divino Poeta – ci ha persino rimesso il posto (ammesso che quello fosse il reale motivo) l’assessore al turismo, la brava Cristina Scaletti. Ora sostituita da Sara Nocentini.
Al di là della vicenda in sé, quella è stata l’occasione per un dibattito cui oggi Lamioni intende dare ossigeno. Può un territorio unico, straordinario e infinitamente ricco di cultura e suggestioni essere compreso nell’unico brand “Toscana”? La risposta, evidentemente, è no.
Sono almeno quattro anni che se ne parla, in seguito alla soppressione d’autorità delle aziende di promozione turistica, le Apt, che su base provinciale, tra luci e ombre, si occupavano di promozione turistica. Con l’arrivo di Rossi a Palazzo Panciatichi tutte le aziende furono abolite d’imperio in nome della efficacia e del risparmio. Con quali risultati ancora oggi è difficile capirlo.
Qualche anno prima un colossale investimento con la campagna promozionale “Voglio vivere così” aveva fatto intendere che la Regione avrebbe puntato tutto sulla Toscana e nulla sulla promozione dei singoli territori. E così finivano nell’ombra la Versilia, il Chianti, la Valdorcia, San Gimignano, Pienza, Volterra, la Maremma, l’Arcipelago, il Casentino, il Mugello, l’Amiata e l’Abetone, e tutto il grande patrimonio di biodiversità culturali e paesaggistiche della nostra regione. Tutto spariva sotto l’ombra del marchio Toscana. Oggi, a distanza di anni, i risultati in termini di ritorno d’immagine possono essere misurabili in un fallimento. E i territori nel loro piccolo s’incazz…no.
“Affidare la promozione della Toscana al solo brand Toscana trincerandosi dietro l’alibi che nel mondo si conosce solo quel marchio è una scelta miope – dice Lamioni -. Tra dieci anni il pianeta sarà ancora più piccolo di oggi grazie al web, e in Cina e Brasile conosceranno anche i nostri quartieri invece delle regioni. Contesto il pensiero dominante che vuole che il futuro sia solo nelle aree vaste, nelle grandi industrie, nelle mega dimensioni. È una visione di chi vuole “germanizzare” l’Italia sbagliando totalmente rotta. Sono convinto che l’Italia sia entrata in crisi quando ha voluto sfidare il mondo sull’efficientismo dei numeri. Se competiamo sui numeri siamo inevitabilmente perdenti. Se puntassimo invece sulle nostre biodiversità non ci sarebbe partita, siamo un Paese unico, con 8mila borghi e il 70% del patrimonio artistico e culturale del mondo. Un arcipelago di protagonismi”.
La Toscana, anzi il governo regionale, insomma da qualche anno ha preso questa deriva centralista che, in nome dell’unicità del marchio Toscana, intende sottomettere territori tra loro unici e diversi. I risultati di questa scelta politica sono sotto gli occhi di tutti. Lamioni è forse il primo a dirlo con nettezza.
Il discorso ci porterebbe poi ad altre considerazioni che riguardano le grandi scelte in tema di urbanistica e pianificazione territoriale, di gestione dei servizi pubblici (sanità, trasporto pubblico, rifiuti) e di politiche del lavoro e della formazione, così come di emergenze economiche e sociali e persino territoriali. Abbiamo assistito ad un graduale accentramento non solo delle risorse ma anche della gestione diretta a discapito di un rapporto più forte con i comuni, sempre più esautorati nel loro ruolo di primi custodi del territorio e primi interfaccia dei cittadini. Oggi questo fenomeno è ancora più acuito dalla annunciata soppressione delle Province. La gestione dei rifiuti, ad esempio, è finita in capo a società che non hanno più alcun contatto con i comuni che sempre meno possono intervenire in termini di programmazione e gestione del servizio. Così è se vi pare. Ma è questa davvero l’idea di federalismo che ha dato tanto potere alle Regioni e ai governatori? Non sarà il caso di ripensare qualcosa? E che aspettano i tanti presidenti di provincia, sindaci, imprenditori, politici, a farlo? Lamioni per adesso ha detto la sua.