Sulla esattezza delle statistiche sul turismo, come è noto, nutro molti dubbi. Nel senso che li accetto come macro-dati indicativi, sicuramente fondati, ma senza mai prenderli veramente alla lettera. E’ quindi sorprendente, almeno per me, quanto scrive il World Travel & Tourism Council riguardo al numero di coloro che lavorano nel turismo in Italia.
Nel 2015, si legge in un rapporto, sono 1.119.000 i posti di lavoro direttamente imputabili al settore turismo, pari al 5% del totale degli occupati. Percentuale che semplicemente raddoppia (ed oltre) a 2.609.000 se aggiungiamo a chi lavora in hotel, nelle agenzie di viaggio, nei ristoranti, anche l’indotto generato dalla presenza di decine di milioni di turisti che ogni anno arrivano e si spostano nella nostra Italia.
Magari il calcolo è esagerato per voler fare “bella figura” al settore, ma anche sgonfiandolo un po’ si arriva ad una cifra che è inferiore, ma quasi paragonabile a coloro che lavorano nelle pubbliche amministrazioni, che si dice siano oltre 3 milioni, mettendo nel mazzo anche i precari ed i contratti a termine.
Capite velocemente dove voglio arrivare. Da una parte 3 milioni di italiani, che per quanto abbiano da anni i loro problemi, anche gravi, sono però sindacalizzati, partitizzati e rappresentati a diretto contatto con il governo e le amministrazioni locali. Dall’altra, diciamo 2 milioni di italiani che non hanno invece – ed è soprattutto colpa loro – nessuna forza contrattuale e di rappresentanza, ma operano in ordine sparso, anche perché devono lottare quotidianamente contro condizioni di lavoro, contrattuali e di remunerazione sempre meno degne di un paese che organizza i vertici del G7 e si considera una potenza mondiale.
Dico soprattutto colpa loro, perché poi anche le associazioni di categoria ed i sindacati ci mettono del loro, trovando più facile, o forse più impellente, pensare prevalentemente ai propri interessi di struttura (prima legittima preoccupazione, pagare gli stipendi ai propri dipendenti), e non a quelli dei lavoratori, anche perché è veramente difficile costruire un dialogo con un mondo così polverizzato ed abituato a sopravvivere da solo contro tutti.
Magari trovandosi davanti questa cifra superiore a 2 milioni di lavoratori si potrebbe innescare un meccanismo virtuoso di presa di coscienza, nei singoli e nelle associazioni, e di attività di pressione politica a tutela degli interessi del settore e di chi ci ricava comunque uno stipendio. Ma forse no.