Non è un fierone ma non ha nulla di etico o che faccia pensare alla guerra alla fame nel mondo. Ci hanno mangiato in troppi, e sempre i soliti. E all’Expo non giovano oltretutto gli insopportabili trionfalismi dei giornalisti soprattutto Rai. Si arriva male con una metropolitana a trappola di biglietto extraurbano, si fanno chilometri a piedi anche in salita, ci sono poche toilettes e nascoste. E appena arrivi il Madonnone in similoro che riproduce la Madunnina, invece che alla grandeur milanese fa pensare alle processioni del profondo sud. Detto questo il mondo in miniatura dei padiglioni è bello da vedere e godibile. Se si va come si andrebbe a Gardaland, senza sovrapporre all’oggettività, la speculazione tipo riscatto italico, francamente fuori luogo. Detto questo le violenze dei black bloc, sostenuti moralmente dal ciarpame dei centri sociali, mi rende l’Expo meno indigesto. Un Paese serio li avrebbe manganellati a dovere e spediti in galera. Invece la paura di essere di destra, rende il nostro Paese una vergognosa deriva per chiunque voglia delinquere. Ci rimettono i tanti, seri, motivati critici di un Expo troppo stereotipato, che con la Carta di Milano cercava un contenuto etico, che lo stesso Papa Francesco non ha riconosciuto. Comunque ieri doveva essere un giorno da ricordare magari per il cambio dell’inno d’Italia all’inaugurazione dell’Expo, con quel «siam pronti alla vita» anziché alla morte, cantato dai bambini e poi ribadito da Renzi in apertura del suo discorso. Invece gli incidenti, i feriti, i danni provocati dai black bloc hanno cambiato la sceneggiatura della giornata. Una violenza stolta e mal contenuta dalle forze dell’ordine, che danneggia anche chi è critico verso un Expo che le critiche se le merita molte riserve. Lo ha detto il Papa nel suo messaggio all’apertura, che questo era ancora l’Expo dei tanti privilegiati rispetto ai troppi affamati: «questa – scandisce – è l’occasione per globalizzare la solidarietà: non sprechiamola». «La grande sfida del secolo è che non deve mancare il pane per l’umanità – spiega -. Invece una moltitudine di bambini muoiono di fame nel mondo”. Renzi ha detto invece : «Oggi inizia il futuro, migliore grazie anche alla Carta di Milano che obbligherà i governanti a politiche più solidali sul fronte del cibo per chi non l’ha». È riuscito ad aprire anche il padiglione della Toscana, in cui campeggia l’insegna in inglese, «Da secoli viviamo nel futuro», ma che ha rischiato di non avere un suo presente al momento dell’inaugurazione. Tutto puntato su effetti di alta tecnologia e quindi bisognosi di essere settato per giorni. E invece la macchina dell’Expo ha consegnato i locali a due soli giorni, sporchi e pieni di macerie. E addirittura allacciato la corrente solo sabato. Non si escludono contenziosi. E ce ne sono di evidenze che dimostrano che l’Expo ha aperto con il peso dei ritardi e degli intrallazzi ai danni dei soldi pubblici. In fondo il cosiddetto albero della vita, che campeggia a fianco del padiglione Italia, diventato simbolo dell’Expo, ne è anche rappresentazione di tutti i limiti. È’ troppo kitch per essere vero. Non è un albero della vita, non fa pensare a foglie verdi, a frutti e natura. Fa pensare a una finta vita tipo replicanti e robot. È in realtà un enorme totem tecnologico che spara bolle di sapone, fumo tricolore, si riempie di fiori e coccardone e poi le fa sparire. Fa talmente tante cose che alla fine aspetti – o speri – che si trasformi in Mazinga e decolli scomparendo nel cielo.