La settimana scorsa ho partecipato ad un’iniziativa organizzata da una delle molte associazioni nate all’interno della galassia della sinistra; l’intento di questa associazione è ammirevole perché, come molte altre analoghe, si prefigge di rilanciare il dibattito politico a livello locale in un clima da “bomba libera tutti”, dove i partiti della sinistra faticano ad essere riconosciuti, quelli di destra stanno a guardare in attesa di capire cosa fare e i 5 Stelle affilano le armi per le prossime campagne elettorali. L’iniziativa della serata aveva come protagonista un leader di primo piano del Pd ed il tema era “La sinistra in Italia e in Europa”: un tema senz’altro importante, un tema di quelli fondativi o, meglio, ri-fondativi, per offrire elementi di discussione proprio come si faceva una volta nelle sedi di Partito.
Sono rimasto colpito soprattutto da due cose: il linguaggio ed il pubblico. Sono due aspetti comuni e non circoscrivibili a questa iniziativa da cui prendo semplicemente spunto, due elementi che possiamo ritrovare in molte situazioni simili in giro per la Toscana, ex Regione “rossa” fatta di militanza, di fede politica e anche di partecipazione sentita.
Partiamo dal pubblico, composto prevalentemente da “quadri” del settore privato, da dipendenti pubblici (me compreso) da dirigenti o ex dirigenti di partito a livello locale e amministratori o ex amministratori pubblici e, soprattutto, da pensionati. Mancava tutto il resto, quello che un tempo era il popolo della sinistra. Mancavano gli operai (perché di operai in giro ce ne sono ancora, anche se non ne parla più nessuno!), mancavano i lavoratori meno qualificati, mancavano coloro che il lavoro lo cercano e non lo trovano; mancavano gli studenti, mancavano i giovani. Insomma, c’era quasi tutto il passato, c’era un poco di presente e mancava del tutto il futuro.
Veniamo al linguaggio, sia quello utilizzato dal relatore (un senatore della Repubblica, ex ministro, ex presidente di Regione, una persona “per bene” che io stimo molto per le sue qualità intellettuali e politiche e nel quale per certi versi mi riconosco) sia quello utilizzato da chi è intervenuto. E’ un linguaggio serio, corretto, lucido, ponderato, senza sbavature; un linguaggio adeguato per analizzare, anche criticamente, il destino della sinistra italiana in un quadro europeo. E’ però un linguaggio che non sa parlare al “cuore” della gente né, fortunatamente, vuole parlare alla “pancia”, come invece sanno fare altri. E’ un linguaggio che forse vorrebbe parlare alla “testa” delle persone ma sono teste ormai divenute sorde, che non sono più disposte ad ascoltare, che sono stufe delle analisi politiche e che invece aspettano risposte.
Insomma, non è per fare il “gufo”, ma ho l’impressione che questa sinistra debba ancora lavorare molto per re-incantare il suo “pubblico”, con un “linguaggio” chiaro e trasmettere “contenuti”, concreti, capaci di mostrare qual è il progetto di società che intende costruire.
Il rischio è che alla fine questa sinistra si trovi schiacciata – e sconfitta – tra un centro-sinistra sempre più scaltro e sempre più disposto a guardare a destra ed un Movimento 5 Stelle politicamente incapace ma formidabile nell’intercettare tutti quelli che non vogliono rinunciare al loro diritto di voto.
Un Paese con più di 3 milioni di disoccupati, con 5 milioni di stranieri residenti, con uno dei più bassi tassi di laureati d’Europa e con disuguaglianze sociali in rapido aumento credo abbia ancora tanto bisogno di una classe politica “di sinistra”. Dovrebbe essere la sinistra ad impegnarsi per la riduzione della corruzione (l’indice di Percezione della Corruzione di Transparency International, che misura la percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica in numerosi Paesi di tutto il mondo, nel 2016 colloca l’Italia al 60° posto nel mondo, fanalino di coda in Europa), per rendere più efficiente l’amministrazione della giustizia (servono in media mille giorni – 1.007 per l’esattezza – per chiudere una lite in Tribunale), per salvaguardare un ambiente sempre più compromesso e ripensare il modello di società in termini di sostenibilità (stando ai dati del Living Planet Report stiamo vivendo ben al di sopra della capacità di carico del pianeta); a livello locale, poi, “sinistra” significa investire nei servizi sociali, nella cultura, nei parchi pubblici, nelle riqualificazioni urbane, nella partecipazione dei cittadini ai processi decisionali.
In nome di questi temi essenziali la sinistra potrebbe tornare ad essere “aggregativa” invece che “divisiva”, trovando linguaggi e contenuti adatti a parlare anche al cuore della gente. Solo così potrà evitare l’estinzione.