SAN GIMIGNANO – «La presunzione di innocenza non vale per gli agenti? Perché il ministro Cartabia non si costituisce parte civile contro chi aggredisce la polizia?». Lo sostiene il sindacato Sappe mentre è in corso nel carcere di San Gimignano (Siena) dove per presunte torture a un detenuto cinque agenti sono sotto processo. Oggi una delegazione del sindacato è in visita col segretario generale Donato Capece.
«Il Ministero della Giustizia si è costituito parte civile nel processo a Siena contro alcuni poliziotti penitenziari del carcere di San Gimignano – afferma Capece in una nota -. La presunzione di innocenza è uno dei capisaldi della nostra Carta costituzionale e quindi evitiamo illazioni e gogne mediatiche. Ma al ministro Cartabia chiedo perché non si costituisce parte civile anche contro coloro che, pressoché ogni giorno, aggrediscono i poliziotti penitenziari in servizio o contro i facinorosi detenuti protagonisti delle rivolte».
«Confidiamo nella magistratura perché la polizia penitenziaria, a San Gimignano come in ogni altro carcere italiano, non ha nulla da nascondere – dice Capece -. L’impegno del primo sindacato della polizia penitenziaria, il Sappe, è sempre stato ed è quello di rendere il carcere una ‘casa di vetro’ ed anzi questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale – ma ancora sconosciuto – lavoro svolto quotidianamente – con professionalità, abnegazione e umanità – dalle donne e dagli uomini della polizia penitenziaria” che “è formata da persone con valori radicati, forte senso d’identità e d’orgoglio, e che ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici, soprattutto sventando centinaia e centinaia suicidi di detenuti. Non solo. Ogni giorno giungono notizie di aggressioni a donne e uomini del Corpo in servizio negli istituti penitenziari del Paese, sempre più contusi, feriti, umiliati e vittime di violenze da parte di una parte di popolazione detenuta che non ha alcuna remora a scagliarsi contro chi in carcere rappresenta lo Stato. E tutto questo in assenza di provvedimenti utili a garantire la sicurezza e l’incolumità del personale di Polizia Penitenziaria, e spesso senza neppure che il Ministero della Giustizia si costituisca parte civile contro i responsabili di queste violenze».