Nell’animato dibattito di queste settimane tra chi va e chi resta, tra scissioni e candidati alle primarie nel Pd, pubblichiamo l’intervento di Tito Barbini, oltre 35 anni di impegno nella politica e nelle istituzioni toscane in qualità di sindaco di Cortona, Presidente della Provincia di Arezzo e assessore alla sicurezza sociale, all’urbanistica e all’agricoltura della Regione Toscana. Ha da tempo abbandonato la politica attiva, è un apprezzato scrittore di libri di viaggio, ma il suo punto di vista è senz’altro interessante per aiutarci a capire bene cosa sta succedendo nella sinistra italiana.
Ecco perché ho deciso di lasciare il PD.
Avverto, giorno dopo giorno, che gli avvenimenti si susseguono nella cronaca politica non coinvolgendomi più consegnandomi aride emozioni e la scelta che ho compiuto dodici anni fa di lasciare, dopo cinquant’anni, la vita politica (non la passione per la politica) mi chiede oggi di fare una ulteriore pausa di riflessione. Poi tornerò, a tempo pieno, ai miei libri e ai miei viaggi.
Bobbio diceva che attraverso i ricordi ti rifugi in te stesso, ricostruisci la tua identità, che si è venuta formando e rivelando nella ininterrotta serie dei tuoi atti di vita, concatenati gli uni con gli altri, ti giudichi, ti assolvi, ti condanni, puoi anche tentare, quando il corso della vita (come nel mio caso) sta per essere consumato, di fare il bilancio finale. Cosa significa, arrivare a un certo punto e fermarsi? Forse, in primo luogo, provare a riprendere i propri sogni tra le mani. Provare a riflettere su quello che sta accadendo, sulla realtà di questi nostri tempi. Raccogliere una sfida: perché, comunque vada, certi valori bisogna tenerseli ben stretti, prima che cadano come foglie morte. Il “partito”, dal PCI al PD, mi ha consentito di vivere momenti belli, meno belli, di prendere decisioni importanti per le comunità che sono stato chiamato ad amministrare e ha profondamente inciso in ogni scelta della mia vita. Faccio parte di quelle generazioni che hanno avuto il dono di formarsi attraverso la militanza e l’impegno politico. Mi ha dato grandi soddisfazioni, mi ha recuperato quando mi smarrivo e quando perdevo, mi ha insegnato a comprendere meglio le idee degli altri e confrontarle con le mie. La mia storia, con tutti i suoi errori, mi appartiene interamente. Ma non faccio oggi nessuna scelta nostalgica. Sono passati tanti anni dal mio abbandono: ho lasciato ogni incarico, non mi sono ricandidato ad alcuna istituzione elettiva, ho cominciato semplicemente a viaggiare e scrivere di viaggi. Quindi non prendetemi per un nostalgico. Nessuna nostalgia è cosi forte da non poter essere sostituita dalla memoria.
Molti amici e compagni in questi mesi in cui andavo maturando questa decisione mi hanno chiesto perché non ho provato a lottare dentro il PD per cambiare le cose, per rimotivare tanti elettori delusi. A loro rispondo che ho davvero fatto un grande sforzo, quello che potevo fare alla soglia dei settant’anni. Ho girato l’Italia con il mio libro “Quell’idea che ci era sembrata cosi bella” e ovunque, incontrando amici e compagni, ho fatto appello al cambiamento e al bisogno di recuperare al Partito Democratico tanta gente che ci aveva lasciato. Ho anche ascoltato il grido di dolore che proveniva da gran parte dell’elettorato di centro sinistra. Niente, Renzi e la sua maggioranza sono andati avanti senza esitazione in una strada, che a parer mio ha, non solo abbandonato i valori fondanti del PD, ma con un’idea di partito e di comunità che non mi appartiene. Quello che sta accadendo in questi giorni a Napoli e in Puglia nel tesseramento, oppure andare incontro con le primarie ad una affrettata e confusa gazebata per cercare una legittimazione plebiscitaria, mi sta dando purtroppo ragione.
Insomma, questo PD di Renzi non mi parla più ma, intendiamoci, le alternative devono essere molto chiare, almeno per me.
Non voglio tornare a un partito nostalgico composto da reduci che ancora guardano al “sole dell’avvenire”. Ho militato tutta la vita nel campo del socialismo. Ma sento da tempo che il mio tradizionale schema interpretativo della storia è obsoleto. Sento il bisogno di un nuovo pensiero politico.
Se una nuova sinistra non trova lo strumento per uno sguardo del genere , essa non va lontano.
Il Partito Democratico era nato per dar vita a una grande sinistra plurale, che comprendeva al suo interno le diverse culture dei riformisti e dei progressisti, protagonista nella famiglia socialista europea della costruzione di una Europa unita. Questo disegno a parer mio, è venuto meno.
Ora sono interessato a una sinistra plurale che guardi ad un nuovo Centro Sinistra aperto e inclusivo che metta al suo centro i diritti delle persone e la lotta alle disuguaglianze.
Ho messo qui queste riflessioni solo per dire che non dobbiamo guardare a nostalgie passate ma con la consapevolezza che, se un altro futuro è possibile le radici stanno anche nella nostra storia.
Ai compagni e agli amici che restano nel PD voglio dire anzitutto che rispetto la loro scelta e che sono sicuro che, dal loro punto di vista, rispetteranno la mia. A loro voglio dire che la stima e l’amicizia devono sempre prevalere sulle differenze di opinione. Il principale male che ha contraddistinto la sinistra nel nostro paese, da sempre, è che siamo stati più bravi a denunciare le manchevolezze degli altri che a proporre e sostenere le nostre idee. Questo è stato sempre il seme della divisione. Vediamo di non ripercorrere ancora questo errore e cerchiamo di costruire tenacemente le ragioni per tornare insieme.