Ricordate “Buffalo Bill”di Francesco De Gregori? Quella differenza che salta agli occhi tra un bufalo e una locomotiva? Un treno va dritto, sulla strada tracciata dai binari, dritto fino alla stazione successiva, male che vada può accumulare ritardi. Un bufalo, no, non ha strade segnate: può diventare preda di un cacciatore, cadere sotto i suoi colpi, ma intorno a sè ha la prateria e può sempre scartare di lato.
Ecco, è da questa canzone – ma soprattutto dalla consapevolezza di essere partito come treno per poi farsi bufalo che scarta di lato – che comincia “Quell’idea che ci era sembrata così bella“, ultimo libro di Tito Barbini (Aska edizioni), il più intenso, il più sofferto: libro di viaggio anche questo – non saggio o autobiografia – ma viaggio nel tempo, viaggio nella storia che è quella di Tito e insieme quella dei tanti che generazione dopo generazione si sono spesi generosamente per un’idea che prometteva giustizia, eguaglianza, libertà.
Questa è la mia storia, afferma con orgoglio Tito, nella prima pagina. Lo avevamo lasciato con le sue narrazioni di pirati, missionari, anarchici, sognatori negli ultimi lembi dell’America Latina e ora lo ritroviamo alle prese con una trama di vita che annoda i suoi fili nella Toscana dove, ai tempi, non era davvero difficile innamorarsi del comunismo. Quindi, se si possedevano voglia e stoffa, succedeva di percorrere le varie tappe della militanza e dell’impegno amministrativo. La storia di Tito, insomma, la strada segnata.
Lui poi un giorno, come il bufalo, ha scartato di lato. Ed è grazie a quello scarto se si è messo a viaggiare e da quei viaggi sono nati libri belli e importanti. “Le nuvole non chiedono permesso“ fu il primo, titolo splendido, titolo che in fondo racchiude il destino di Tito, uomo che con il suo bagaglio leggero si è fatto anche nuvola che attraversa i confini.
Chi lo conosce, chi conosce i suoi libri, sa bene che viaggiare non ha mai significato liquidare una volta per tutte la passione della politica. Casomai a quella passione il viaggio ha portato in dono nuova linfa, uno sguardo più profondo, la forza dell’incontro, il senso di un cambiamento della realtà delle cose che non può prescindere dal cambiamento interiore.
Quell’idea per cui si era tanto speso e che la Storia ha avuto molto fretta di liquidare Tito in qualche modo lo ha ritrovata proprio per il mondo: magari sotto altri nomi e bandiere, con parabole che hanno portato molto lontano, in un gioco di scomposizioni, rimandi, contaminazioni che non sono la fine di una storia, semmai un’altra storia.
Ed è anche vero che a quell’idea Tito ha già dedicato molte pagine di altri libri. Uno scritto anche insieme a me, il più esplicito rispetto al sentimento della sconfitta, “Caduti dal Muro”: un lungo emozionante viaggio nei paesi dove il socialismo reale ha lasciato le sue macerie. Però penso anche alle “Rughe di Cortona”, un libro di singolare bellezza, il racconto di un viaggio che è tutto un ritorno.
Ma questo libro ora è tutt’altra cosa: quell’idea Tito non l’affronta dopo che da buon bufalo ha scartato di lato. Questo è un viaggio per intero, un viaggio che parte da dove di deve partire. Come quando si scende un fiume e lo si fa dalle sue sorgenti. In questo caso una cittadina toscana, una famiglia comunista, un bambino con i suoi sogni.
Ne avrà di strada davanti a sè, quel fiume, prima di incontrare il mare. Prima di donare le sue acque al mondo.