Il tempo sgrana le immagini. Ma il ricordo è buon restauratore e riconsegna fotogrammi sempre migliori dell’originale. Pensiamo a quelli del ritorno in patria (e dico Patria) degli Azzurri dopo il trionfo al mondiale del 1982. Epica quanto la finale è restata la partita a scopone giocata sull’aereo presidenziale da Pertini-Zoff versus Bearzot-Causio. Vinse la seconda coppia, provocando la stizza del presidentissimo che rimbrottò il taciturno Dino per non aver parato agli avversari scope, primiere e settebelli. E come ci piacque quel bar sport sospeso tra le nuvole! Sublime legittimazione di tutti i bar sport del mondo dove la vita (forse la fuga dalla vita) è una partita, il più delle volte persa per colpa di un arbitro che corre poco e fischia troppo.
Eh già. Perché il bar sport è interpretazione dell’esistenza, studio sociologico, replica infinita del nulla, balsamo e esorcismo contro il “non venga di peggio”. E’ persino dimostrazione che gli angeli esistono, perché tali sono i disperati (anzi, quei diversamente allegri) che nei bar stazionano (ogni esercizio ne ha almeno uno) a rammentare quanto mediocri siamo noi (noi sì disperati) che offriamo loro bevute e ovvietà.
Come ebbe a insegnarci Stefano Benni (insuperabile il suo Bar Sport), esistono, poi, locali in cui le attrazioni – umane, s’intende – sono di classe superiore. Presenze che incidono anche sul prezzo di brioche e cappuccino. Si consideri, ad esempio, che proprio a detta dello scrittore bolognese, “un buon tecnico da discussione del lunedì viene valutato mezzo milione”. Un ‘professionista’ ancora molto in auge, il cui ingaggio andrebbe ricalcolato in euro e tenuto conto che, oggi, il suddetto sproloquia pure in digitale terrestre. O, tantomeno, è uguale spiccicato a chi lo fa.
La dea Eupalla (divina invenzione di Gianni Brera) protegga, dunque, i bar sport. Che possano, essi, tenere botta a tutte le crisi: economiche, identitarie, adolescenziali, di coppia, di panico, di governo, di mezza età, di pianto, di nervi, di ansia… Bar luoghi dell’anima (forse d’anime perse). Ora illuminati a led, musica soffusa, seggioline thonet (niente a che vedere con la vitella), banconi in marmo nero e legno di fragolo, gelati al carciofo, cous cous e amatriciana, slot machine che ingoiano intere pensioni di invalidità, esperti di calcio e di borsa, impiegati depressi e cassintegrati qualcosa più che depressi. Quando i bar chiudono per turno di riposo c’è un’intera umanità smarrita. Perché nella vita non a tutti è concesso il diritto alla felicità, ma a tutti spetta un luogo dove entrare e poter dire a petto gonfio: c’ho un caffè pagato.