Ci siamo. La data delle prossime elezioni amministrative è fissata. Il conto alla rovescia cominciato. Da qui a domenica 10 giugno, data del primo turno, mancano 70 giorni. Aprile e maggio, due mesi pieni. Uno di campagna elettorale, maggio, e aprile per riempire le caselle mancanti ad un quadro che in questi mesi si è composto e scomposto, non senza sorprese.
Il Partito Democratico ha finalmente il suo candidato in Bruno Valentini che testardamente è convinto di ripetere l’esperienza del 2013, anche nei metodi. Allora fu “Siena Cambia” a tirargli la volata mentre il Pd si decise ad appoggiarlo solo dopo le primarie (che si tennero il 23 aprile). Questa volta le primarie non si sono tenute per mancanza di firme, candidati e di idee. Dopo mercoledì scorso quel gruppo dirigente appare destinato alla scomparsa, sempre più inadeguato a leggere non solo la Città ma lo stesso partito. Simone Vigni che avrebbe dovuto dimettersi a seguito della figuraccia alla vigilia delle Politiche, facendosi mettere in lista all’insaputa dei suoi e impedendo a Luigi Dallai la chance di un secondo mandato. Per una notte da candidato ha negato a Siena un riferimento senese nella Capitale. La sua gestione ha portato così il partito sull’orlo del caos, dando ragione a chi lo aspettava sull’altra sponda, come Franco Ceccuzzi che ora rischia di riprendersi quel che resta del fu Pd. Peggio di lui ha fatto Stefano Scaramelli che non ha ancora capito di aver perso la spinta propulsiva delle 15mila preferenze alle regionali. Da allora non ne indovina una, soprattutto quando si occupa di Siena. E dopo aver perso il congresso provinciale ha continuato ad insistere con parole d’ordine renziane che oramai non fanno più breccia. Ha forzato la mano proponendo l’architetto Giovanni Mezzedimi, senza riuscire a stabilire alleanze con le altre componenti e nemmeno a raccogliere le stesse firme che avevano sostenuto la sua corrente qualche mese fa al congresso. La figuraccia è tutta sua.
E se il partito principale della Città è in queste condizioni, isolato come mai, da qualche altra parte si comincia a intravedere la speranza di mandarlo all’opposizione. E con tutto quel che è successo a Siena non è nemmeno una bestemmia. Ma la situazione è talmente frazionata e parcellizzata che rischia di produrre solo ulterioridivisioni.
I partiti di centrodestra, convintamente come Fratelli d’Italia e meno come Forza Italia che ieri ha finalmente deciso, sosterranno Luigi De Mossi. Rimane da capire se anche la Lega lo sosterrà o insisterà a correre da sola con il medico Alberto Guasconi cui ha fatto firmare un solenne impegno politico di 10 punti (compreso il “ripristinare il crocifisso in tutti i locali pubblici comunali” e “garantire assistenza legale ai cittadini accusati di eccesso di legittima difesa”). Poi c’è il generale in pensione Sergio Fucito per Casapound e l’architetto Luca Furiozzi per il Movimento 5 Stelle. Si tratta di corse in solitaria perché così prevedono i vertici nazionali e le politiche dei rispettivi partiti non contemplano nessuna contaminazione.
Rimane, infine, il fronte civico, a Siena frastagliato in due opzioni che esprimono altrettante candidature ma con il rischio concreto che altri vadano ad aggiungersi nelle prossime settimane. In questo tempo dell’incertezza, quando la politica dei partiti tradizionali ha fallito sul piano delle risposte, l’opzione civica ha in sé il tratto della novità e della speranza. Cittadini che, al di là delle appartenenze culturali, decidono di stare insieme per restituire il futuro della Città alla sua dimensione più appropriata e riportare nelle lastre le decisioni in passato prese altrove, a Roma o a Firenze. Opzione civica come laboratorio di idee e proposte che abbiano quale unico obiettivo la rigenerazione della classe dirigente e l’elaborazione di ricette innovative per far uscire Siena dalla crisi. Altrove sta funzionando, perché non anche a Siena? Ma perché una opzione sia veramente civica è necessaria la volontà all’ascolto, la disponibilità alla contaminazione, la concretezza dell’azione, un gruppo omogeneo di figure con una forte capacità amministrativa.
Al momento sono in campo le candidature di Massimo Sportelli e di Pierluigi Piccini. Ogni giorno il primo calamita a sé qualcuno, con una logica che a stento fatichiamo a comprendere e dunque a spiegare. L’ultimo, qualche giorno fa, è stato l’assessore allo sport Leonardo Tafani, dopo settimane di ambiguità tra fare le giunte con Bruno Valentini in Palazzo Pubblico al mattino e partecipare a riunioni dell’opposizione alla sera. Ben comprendendo lo spirito del tutti uniti contro il nemico quel che accade da quelle parti sembra un generale “porte aperte” a chiunque, compresi coloro che fino a qualche giorno prima hanno fatto parte della stessa maggioranza che ora si vuole sconfiggere. Non sembra esserci nessuna selezione politica né di metodo né di merito. E francamente rimane più di una perplessità verso chi dichiara di essere il nuovo, ma adotta metodi più antichi della politica più stantia.
C’è poi Pierluigi Piccini, che ha deciso per una corsa in solitaria e, in modo per adesso sommerso, sta facendo campagna elettorale anche tra i delusi del Pd. Conosce le armi della politica, conosce la città e sa come muoversi. Il sondaggio del gennaio scorso lo vedeva diretto competitor di Valentini. Chissà se riuscirà a mantenere la seconda posizione per le prossime settimane.
In entrambi i casi, Piccini e Sportelli, non riusciamo ancora a scorgere quel necessario afflato civico che possa rappresentare la vera novità, la chiave di volta per una rigenerazione dal basso della comunità senese, stravolta da questi anni di crisi e scandalo. Tuttavia, ancora una strada ci sarebbe e potrebbe essere quella del confronto che porti verso un programma unico, un unico candidato civico. In questo senso il metodo sperimentato la settimana scorsa della “Piazza delle Idee” potrebbe essere lo strumento per quel confronto costruttivo, condiviso e partecipato che finora è mancato e che sfoci in un’alternativa di governo per la Città.
Chiunque vincerà le prossime elezioni dovrà fare i conti con la necessità di ricostruire un tessuto sociale oggi sempre più sfilacciato, confuso e in preda all’incertezza. Per questo occorre un gruppo dirigente omogeneo, capace, con una base sociale solida con cui abbia condiviso priorità e programmi.
Vincere solo per entrare nella “stanza dei bottoni”, come avrebbe detto Pietro Nenni, senza idee né uomini adatti al compito non solo sarebbe inutile ma dannoso per Siena. Altrettanto lo sarebbe se qualcuno ha in mente di conquistare Palazzo Pubblico per formare comitati da cui dirigere i propri e gli altrui affari. Allora sì che non rimarrebbe che Barbicone.
Ah, s’io fosse fuoco (e buona Pasqua a tutti)