Il titolo dell’ultimo film di Paolo Sorrentino (La grande bellezza) è una cosiddetta antifrasi, allorché le parole vogliano far intendere il contrario di quanto affermino. Così grande bellezza sta per grande bruttezza, quella di un vuoto esistenziale, di personaggi negativi, di luoghi e situazioni desolanti. E la grande bruttezza fa tali anche le cose belle (nel caso specifico la città di Roma) o tantomeno le rende ‘invisibili’, irrilevanti. Tra le molte suggestioni della pellicola di Sorrentino – impietosa, talvolta sarcastica rappresentazione della società attuale – si coglie proprio questo nesso tra etica e estetica che nei nostri sconclusionati giorni procedono di pari passo verso lo sprofondo. Del resto la bellezza è diventata un lusso impraticabile pure dai ricchi, perché la sua frequentazione rischierebbe di affinare le sensibilità, i caratteri; di fornire un’educazione emotiva, sentimentale. Meno male che il pensiero prevalente, i bla-bla televisivi, i social network dissolvono nel loro nascere ogni parvenza di grazia, di significati estetici, di interiorità. Svolgono la loro giuliva mission per il degrado e la superficialità: di contenuti, linguaggi, modelli, forme, comportamenti. Provvidenzialmente vengono offerti stereotipi che nulla hanno a vedere con la sfera emozionale delle nostre storie personali e collettive. Vige peraltro l’assioma che con la cultura non si mangia. Pertanto per il bene dei nostri figli cerchiamo di tenerli alla larga da tutto ciò che potrebbe tentarli ad acquisire conoscenze, elaborazione critica, comportamenti attivi, un uso della lingua oltre gli standard reperibili a buon mercato. Rendiamoli immuni dal cogliere il senso vero degli esseri e delle cose. Resta il problema relativo al bello che già esiste: città, paesaggi, opere d’arte, letteratura, musica. Ovvero di come fare affinché certe magnificenze non siano percepite per ciò che sono. Quelle più deteriorabili stanno andando fortunatamente in rovina, quindi basterà non fare nulla. Per quelle che resistono ci stiamo organizzando in maniera tale che non prevarichino troppo il beato imbarbarimento. Venezia, ad esempio, va benissimo così, allestita come una disneyana scena per navi da crociera. Mentre per le bellezze più immateriali sarà sufficiente ignorarle, non trasmetterne memoria, non metterle in contatto (in rotta di collisione) con l’immaginario delle nuove generazioni. Facciamoli credere che questo banalissimo mondo è cominciato e finirà con loro. Priviamoli del bello, cosi che non abbiano la consapevolezza del brutto. Anzi, illudiamoli che questa sia la grande bellezza.