Ne è passata di acqua… dai tubi catodici. Da quando ‘la televisione’ era ‘il televisore’, ad oggi in cui sullo schermo converge una multimedialità fatta di testi, immagini, telefonia, suoni, notizie, relazioni (?) sociali. Ed è in questa nuova era del tele-vedere che è arrivato anche lo switch off, l’inappellabile transizione dalla televisione analogica a quella digitale. Rivoluzione tecnologica, collasso d’antenna che ha tolto il sonno ad eserciti di anziani, i quali portano al collo il tasto salvavita ma non il bottone del pronto soccorso Tv. Così che – perfida ambivalenza delle parole – se a base di digitalis purpurea sono le pasticche che riequilibrano i loro scompensi cardiaci, il digitale, stavolta, li ha prodotto ansie e patemi rispetto a una quotidianità che proprio la televisione fodera di rassicurante monotonia.

Si è spalancato perciò, e non solo per gli anziani, un vasto disorientante palinsesto che, scorso per intero oltre quota 200 – tanti sono i canali della nuova (s)offerta televisiva – ha dato l’impressione di quelle botteghe “tutto a 99 cent”, fitti di un ciarpame persino simpatico quanto inutile. Mai zapping era stato tanto deludente nel rapporto quantità/qualità. Fatta salva la gratificazione di un inevitabile sorriso che può scaturire dall’ascolto di persone che discutono seriamente dei problemi calcistici del Compiobbi, mentre altrove si vendono brillanti (questi a poco più di 99 cent) o frullatori risparmia-tempo tali da mettere le casalinghe nelle condizioni di poter esercitare fuori casa altre redditizie attività (vedasi i relativi canali ‘tematici’). Finché la scintillante desolazione trova riparo in chiese a 40 pollici dove si recita sempre il rosario con la voce di disperanti misteri dolorosi, a ricordarci che tale è la vita terrena (anche, e a maggior ragione, se guardata in alta definizione).

A prescindere… – direbbe Totò, magari riproposto da provvidenziali canali movie – resta il fatto che la televisione vive una fase di trasformazione rispetto alla quale andrebbero aggiornate anche le analisi a suo tempo formulate da Karl Popper (“Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione”) e Marshall McLuhan (“televisione cattiva maestra”). Il medium televisivo è sempre più globale, generalista ma pure generico, schermo ‘piatto’ in tutti i sensi. E di fronte alla crisi strutturale della democrazia (e ad essa collegata della cultura) non vorremmo che il mondo subisse uno switch off irrecuperabile da qualsiasi tipo di decoder.