Venticinque anni fa, nella memoria di dolore dell’antico spedale senese di Santa Maria della Scala si iscrisse anche la fine della vicenda umana di Italo Calvino, scrittore che tutt’oggi non ha eguali per la particolarità del suo stile, per la padronanza degli artifici narrativi uniti ad una scrittura tra le più nitide ed eleganti della prosa del Novecento.
Chissà per quali “destini incrociati”, Calvino (nato a Santiago de Las Vegas, Cuba, nel 1923) doveva morire a Siena tra la notte del 18 e 19 settembre 1985. Forse perché Siena poteva somigliare a qualcuna delle sue immaginarie Città invisibili. Opera che oscilla tra il racconto filosofico e quello fantastico-allegorico e che, non a caso, Pietro Citati ebbe a definire “parabola morale e allegoria metafisica”. Città ‘invisibili’ e di ‘sogno’ in cui la complessità del mondo e dei suoi accadimenti si trasfigura in rarefatti luoghi mentali, svincolati da tempo e da spazio.
Non neghiamo che quando proprio in quel libro si va a leggere il capitolo dedicato alla città di Zaira, a tratti sorge spontanea l’immagine di Siena: “Inutilmente magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti bastioni. Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati…; ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato… Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città s’imbeve come una spugna e si dilata. Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, virgole”.
Suscita emozione rileggere questa pagina e immaginare Calvino, dietro gli “alti bastioni” del Santa Maria della Scala, perso in un sonno che non conobbe risveglio. Le suggestioni letterarie vanno a soprammettersi al ricordo di quando si diffuse la notizia che l’autore del Barone rampante era deceduto in un letto del Santa Maria della Scala. Sui tetti di Siena volava una coloratissima mongolfiera. E fu davvero inevitabile non pensare a quel Cosimo di Rondò che per sfuggire a una punizione si rifugia su un albero e si costruisce, per conto suo, un mondo aereo. Sceglie una modalità ostinata e bizzarra per osservare dall’alto quanto accadesse sulla terra. Così trascorrerà tutta la sua vita, finché in punto di morte, si aggrappa alla fune di una mongolfiera e scompare attraversando il mare: “L’agonizzante Cosimo, nel momento in cui la fune dell’ancora gli passò vicino, spiccò un balzo di quelli che gli erano consueti nella sua gioventù, s’aggrappò alla corda, coi piedi sull’ancora e il corpo raggomitolato, e così lo vedemmo volar via, trascinato nel vento, frenando appena la corsa del pallone, e sparire verso il mare…”. Qualcosa di molto simile accadde a Siena il 19 settembre del 1985.