Era la mattina del 4 maggio 1954 quando si verificò l’esplosione di grisou nel pozzo Camorra, 260 metri sotto il livello del mare, nella miniera di lignite della Montecatini a Ribolla (Grosseto), piccolo centro della Maremma toscana sviluppatosi proprio attorno alla sua miniera. Le vittime furono 43: il più giovane, Rolando Tognozzi, aveva 17 anni, i più anziani, Ferruccio Petri e Serafino Manganelli, 58 anni. A 60 anni dalla più grave tragedia mineraria del dopoguerra in Italia, definita la Marcinelle italiana e paragonata anche al disastro nella miniera francese di Lievin, Ribolla ospiterà dal 3 al 29 maggio una serie di iniziative per ricordare la strage, raccontata da Luciano Bianciardi e Carlo Cassola ne ‘I minatori della Maremma’, il cui ricordo è tramandato anche dal Monumento al minatore e, dal 2004, da un Cubo nero, opera inaugurata a mezzo secolo dal disastro quando l’allora Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi concesse alle vittime le Stelle di maestri del lavoro alla memoria.
Il programma delle commemorazioni “La miniera a memoria”, questo il titolo della manifestazione (promossa dal Comune di Roccastrada insieme a Coeso Società della Salute, Parco tecnologico archeologico delle Colline metallifere, con il patrocinio della Provincia di Grosseto e della Regione Toscana), che vuole commemorare la strage e dare nuovo impulso al recupero della memoria storica, anche in un’ottica europea, in parallelo con le tragedie di Marcinelle e Lievin. Il via il 3 maggio, alle 15.30, con una messa celebrata dal vescovo di Grosseto Rodolfo Cetoloni. Il 4 maggio la deposizione delle corone al Monumento al minatore e all’ingresso del pozzo Camorra, cui seguirà una cerimonia commemorativa, con la consegna delle pergamene ai familiari delle vittime. Tra gli altri appuntamenti la presentazione di libri dedicati alla tragedia, spettacoli e passeggiate narrative, per far rivivere e conoscere i luoghi del villaggio nato intorno alla miniera, chiusa dalla Montecatini nel 1959 in seguito al disastro.
Una tragedia senza responsabili La tragedia rimase senza colpevoli: il processo a Verona, dopo che la Montecatini ottenne, pagando i risarcimenti, che le parti civili si ritirassero, si concluse con un’assoluzione piena per i dirigenti della miniera. Responsabile della morte dei minatori fu una «mera fatalità». E cinque anni dopo la tragedia la Montecatini licenziò tutti.