FIRENZE – Sul campo restano le 5 vittime e una verità non ancora completa. Firenze si è fermata per ricordare la strage dei Georgofili, avvenuta la notte del 27 maggio 1993.

“Dobbiamo coltivare il senso della memoria per non abbassare la guardia. Dobbiamo parlare ai cittadini e fare dei beni confiscati alle mafie presidi vivi: di memoria e di impegno”, ha affermato il presidente regionale Eugenio Giani, che al tempo era assessore comunale. Un passaggio delineato, con varie declinazioni da tutti i presenti.

Dalla presidente del Senato, Maria Alberta Casellati, “le istituzioni devono farsi carico del debito di verità che ancora pesa su quelle tragiche vicende”, a Roberto Fico, presidente della Camera, che ha inviato una lettera: “ La lunga storia dello stragismo ha evidenziato connivenze tra criminalità organizzata, gruppi terroristici e pericolose metastasi all’interno degli apparati dello Stato: devianze finalizzate a provocare un corto circuito della democrazia”. Non ci sono però solo memoria e cultura della legalità da portare avanti.

Restano dei buchi da colmare di quell’evento drammatico. Elencati dal procuratore di Firenze, Luca Tescaroli: “Il perché ad esempio un personaggio come Paolo Bellini, legato ad ambienti di estrema destra, si sia incontrato con il mafioso Antonino Gioè, uno degli esecutori della strage di Capaci, e perché abbia istillato l’idea di colpire il patrimonio culturale”. E ancora: “Dobbiamo capire le ragioni della morte in carcere dello stesso Gioè, in circostanze non del tutto chiarite, e quello che scrive nella sua lettera testamento. Dobbiamo capire cosa è successo in via Palestro a Milano e perché tutti gli attentati, a parte quello di via Palestro, siano stati rivendicati dalla Falange Armata. Dobbiamo capire perché nel 1994 la stagione delle stragi improvvisamente si interrompe, quando Messina Denaro e Bagarella erano ancora liberi e nelle condizioni di proseguirla”.

Una ricerca che vede ancora le Procure impegnante, così come lo sono nel contrastare ogni giorno la criminalità organizzata. Un’attività evidenziata dal procuratore Giuseppe Creazzo: “Quelli anni di grandi impegno contro Cosa Nostra hanno permesso ad altre organizzazioni criminali di crescere: a partire dall’’ndrangheta, oggi l’organizzazione mafiosa di gran lunga più pericolosa: anche in Toscana”.