C’era un tempo nel quale suscitava rispetto, ed anche invidia, il titolo di studio, il percorso formativo nel quale, faticosamente, si era avventurato qualcuno nel tentativo di raggiungere i propri obiettivi e conseguire i propri sogni. C’è un tempo, al contrario, nel quale è cool e fornisce prestigio sociale, ed enorme ricchezza, il numero di followers su Instagram.

Specchio di un mondo cambiato, di un paio di decenni che hanno stravolto basi e certezze del nostro vivere.

Il martellante lavoro ai fianchi della televisione prima e poi dei social network ha codificato nuovi modelli ed imposto standard di lignaggio sociale assolutamente alternativi rispetto al passato, certe volte perfino assurdi e fino a qualche anno fa impensabili.

Ve lo immaginate, fino ad un decennio fa, che qualcuno potesse diventare ricco e famoso coniando via web “Andiamo a comandare”… Eppure Rovazzi, per citarne uno dei tanti, oggi è testimonial di Fiat, si vanta della propria ignoranza e di avere lanciato quasi casualmente la propria scalata al successo, si immortala sui social con donne bellissime ed ha milioni di followers.

Che cosa avrebbe potuto fare Rovazzi prima dell’avvento dei social.. Sarebbe andato ugualmente a comandare…

O avete mai letto un testo di Sfera Ebbasta; vi sareste immaginati qualche anno fa file di madri e padri solerti nell’accompagnare i propri figli adolescenti ad un concerto di questo che rappresenta la nuova frontiera del genere Trap.

O sareste riusciti ad immaginare come  la patologia di Facebook  avrebbe  potuto  assalire i nostri padri e perfino i nostri nonni i quali, tra un tag ed un like, hanno solcato il nuovo millennio.

Avreste mai pensato che la stessa parola un tempo utilizzata per descrivere intellettuali o menti in grado di condizionare il pensiero comune e la società, potesse essere ribattezzata, con azzeccato neologismo, per Chiara Ferragni o Wanda Nara. Influencer, appunto, versione british ed alla moda dell’intellettuale polveroso di un tempo.

Sembrerebbe di vivere in uno Stato maggiormente libero, più inclusivo, aperto, dove le differenze si assottigliano e dove le possibilità si sprecano, nel quale tutto può essere a portata di mano e dove il successo è a portata di followers.

Uno stato maggiormente moderno, dove i dogmi morali e la religione cristiana che hanno, per secoli, ammantato la nostra società si trovano a dover affrontare una regressione probabilmente senza ritorno.

Viviamo in un Eldorado vero o almeno presunto o abbiamo nascosto e dissimulato attraverso la lente  delle facili illusioni e del successo per molti ma in realtà per pochissimi, i mali sostanziali del nostro paese ed un ancien regime mascherato da modernismo. L’operaio, oggi, e quei pochi che sono rimasti, non puntano al figlio dottore bensì calciatore.

Ho avuto modo qualche sera fa di scambiare quattro chiacchiere con un giovane, uno dei tanti che in questi anni ha deciso di emigrare, di cercare futuro e fortuna e soprattutto considerazione sociale in un altro paese.

Fuggito dalla precarietà, dai contratti a termine, dagli stipendi da fame e dall’immobilità sociale italiana, nella quale l’ascensore sociale è fuori servizio da decenni, si è ritrovato catapultato nel Regno Unito che si stava preparando alla Brexit, in quel Regno Unito che viene costantemente descritto come un paese sull’orlo del baratro, prossimo ad essere gettato in acque oscure e sconosciute.

Quanto gli dovrà essere mancata mamma ed il focolare domestico, avrà pensato da buon italiano sulla scaletta dell’aereo una volta in terra d’Oltre Manica.

Beh il nostro eroe, così come tanti, troppi suoi pari, ha resistito al richiamo sirenaico materno, alle lasagne della domenica, al sogno del posto fisso vicino casa con cui ci si accontenta e per cui si scende a compromessi ed ha deciso di provarci.

Udite, udite il proseguo della storia.

Si tratta di un professionista neolaureato nel ramo sanitario. Assunto in un grande ospedale pubblico attraverso colloquio, si ho detto colloquio, senza dover passare dalle forche caudine dei mega concorsoni pubblici che dovrebbero selezionare il merito e premiare l’eccellenza e che sempre,  e dico sempre, tradiscono le proprie aspettative ma non tradiscono la propria fama di interminabilità perdendosi negli anni degli scritti, poi degli orali e prima delle preselezioni.

Penserà il lettore che sia stato assunto a termine e per una mansione di basso profilo. Macché, sbagliato. Assunto a tempo indeterminato e con la possibilità di scegliere il proprio percorso professionale, magari di cambiarlo e magari di pensare alla propria carriera ed alla propria elevazione sociale e professionale in ogni momento.  Dipendente pubblico con uno stipendio appropriato , da ricco in Italia, e con il rispetto sociale che in quel pase si riconosce a questo tipo di professioni.

Nella chiacchierata è uscita fuori anche l’epopea di un giovane medico italiano neolaureato assunto con contratto interinale in Italia che ha deciso di fuggire, sempre nel Regno Unito, che si è barcamenato per qualche mese tra pub e lavori da commesso e scuole per imparare la lingua e che dopo tre anni, e dico tre anni, dirige il reparto di un ospedale.

Quella sera sono andato a casa felice per le sorti di questi ragazzi ma allo stesso tempo enormemente triste e profondamente indignato per aver avuto la certezza, una volta di più, di come ad un’ora di aereo da qui sembri di vivere in un mondo rovesciato. Anzi, rovesciato è il mondo e la società nei quali viviamo noi per la verità.

Sono anni che la politica e l’opinione pubblica in Italia si scervellano su come cambiare le sorti di generazioni di giovani che non hanno futuro né prospettive nel nostro paese.

I centri per l’impiego, la flessibilità, gli incentivi alle assunzioni ed ora il reddito di cittadinanza con annesso navigator.

Fallimenti conclamati o da conclamarsi mentre i soliti dieci manager che non hanno mai salvato né rilanciato le nostri principali aziende pubbliche o private continuano a scambiarsi le poltrone di AD a turno e cadenze fisse e nei talk show di qualunque canale si scambiano gli stessi ospiti ogni giorno della settimana per parlarsi addosso o antidiluviani con quattro mandati parlamentari intentano cause per salvare i propri vitalizi.

Il nostro paese non sa imparare e neppure copiare incatenato nelle proprie regole barocche, nella sua stritolante burocrazia, nei suoi albi ed ordini, nei suoi concorsi interminabili e spesso aggiustati, nella sua voglia di cambiamento a parole e nella sua classe dirigente incapace di dirigere, in un’opinione pubblica che non fa opinione ed in una società che sembra, ormai, capace di digerire tutto ed il contrario di tutto, pronta ad affidarsi al primo capitano di ventura che passa, a litigare settimane sulla VAR ed a sognare con Barbara D’Urso, il Grande Fratello o l’Isola dei Famosi.

Un paese che si stritola dietro alle regole che si autoimpone è un paese che non si fida dei propri cittadini e di chi li governa; chi arriva al potere aggiunge altre regole spesso in contrasto con quelle vigenti e si ricomincia da capo. Questo è un paese dove il fine supremo non è l’interesse collettivo ma quello dei vari singoli che si intercambiano tra di loro.

L’Italia  avrebbe bisogno di tirare una riga, di mettere un punto, di rovesciare il tavolo per non morire lentamente; necessiterebbe di rimescolare a fondo ed a tutti i livelli le proprie carte e di tirarne fuori di nuove dal mazzo. Servirebbero, come il pane, in ogni luogo ed in ogni settore, energie nuove, visioni radicalmente di rottura, facce e volti nuovi, regole stravolte e modelli da ripensare e ricreare.

Non serve un reddito per assurgere al rango di cittadini e non servono neppure percorsi interminabili per raggiungere obiettivi utopici. Serve ridare speranza e ricostituire certezze, garantire che anche qui si può ed è possibile, che anche qui senza santi in paradiso è lecito immaginare , con fatica e capacità, di scalare posizioni e guadagnare spazi. Serve per chiunque poter coltivare il sogno che anche nascendo tondo si possa morire quadrato, senza compromessi o scorciatoie. E’ essenziale che alla casa di tutti, la nostra nazione, si tenda e si operi con il pensiero e le azioni compiendo scelte che guardino al benessere collettivo e duraturo e non al momentaneo e futile bisogno di chi di volta in volta le compie.  All’ombra dell’albero che pianterò dovrà riposarsi il figlio di mio figlio; per questo è essenziale aver cura dell’albero, aiutarlo giorno dopo giorno a crescere ed avere l’acume, la lungimiranza e l’altruismo di condividerlo con altri e di immaginarlo in funzione di altri.