Ci sono due momenti fondamentali nella storia recente della pluricentenaria banca Mps che segneranno per sempre la memoria futura dell’istituto e dell’intera comunità senese. Due momenti drammatici e dai tragici epiloghi, purtroppo. Due morti improvvise. Nel mezzo c’è il disastro di cui ancora non se ne conoscono fino in fondo i contorni.
Nel 2006 fu la scomparsa di Stefano Bellaveglia e poche settimane fa è stata quella di David Rossi. Due vicende tragiche che raccontano meglio di tante altre cosa era stata la banca e cosa era diventata. Naturalmente i ruoli dei due protagonisti sono stati profondamente diversi in quanto Bellaveglia aveva ricoperto il ruolo di vicepresidente di Rocca Salimbeni per nove anni, mentre Rossi era stato un top manager dell’azienda con responsabilità di comunicazione e ufficio stampa, senza alcun compito operativo.
Eppure i due avevano quei tratti tipici della senesità che li rendeva l’uno con l’altro caratterialmente complementari. Sempre con il sorriso sulle labbra e pronto al saluto il primo, riservato e quasi altezzoso il secondo; lo potevi incontrare a passeggio per il Corso insieme a banchieri o semplici senesi l’uno mentre l’altro frequentava più o meno sempre la stretta cerchia di amici e colleghi. Eppure, entrambi si erano ritagliati il ruolo di interfaccia tra la città e il Potere granitico della banca. Il senese che voleva una risposta o cercava un interlocutore dentro la Rocca sapeva che poteva contare su di loro.
Non c’era problema che riguardasse la vita cittadina che Bellaveglia non sapesse o di cui non fosse al corrente, sia di natura economica, proveniva dall’ambiente artigianale e dunque era addentro alle tematiche, sia culturale o sociale. La sua improvvisa morte, per una febbre malarica non diagnosticata tempestivamente mentre portava solidarietà in Africa, lo colse mentre era da poco uscito da Rocca Salimbeni. Uscita forzosa per far spazio al nuovo che avanzava e che, forse, non voleva ombre intorno. Di lui si era addirittura parlato come possibile Amministratore Delegato per controbilanciare il potere al neopresidente Giuseppe Mussari, che aveva fama di essere asso pigliatutto già dai tempi della Fondazione. Ma non se ne fece nulla, e gli fu preferito quale direttore generale, Antonio Vigni. Il tempo si è incaricato di dire se fu una mossa azzeccata. Eppure, non si era perso d’animo e continuava a credere nel Sistema Siena fatto di una rete solidale tra istituzioni pubbliche in favore delle situazioni più svantaggiate e difficili. Era stato, ad esempio, tra i primi a sostenere la solidarietà, anche internazionale. Aveva contribuito ai progetti in Tamilnadu e Sri Lanka dove Siena donò a quelle disgraziate popolazioni distrutte dallo tsunami del 2004 quasi 1 milione di euro. E proprio in una di quelle attività di solidarietà internazionale in Congo è morto perché non si limitò a stare dietro una scrivania. Al suo funerale fu pianto da centinaia di persone, senesi e gente normale, nella Chiesa della Santissima Annunziata in una triste e caldissima mattina di giugno. A tutti fu evidente che era, in qualche modo, rimasto “vittima” di un ingranaggio che lo aveva espulso.
David Rossi, invece, ha incontrato la morte volontariamente, con un ultimo volo da quella finestra da cui centinaia di volte si sarà affacciato durante le tante giornate passate nel suo ufficio in Rocca Salimbeni. Vi era entrato proprio dopo la uscita di scena di Bellaveglia per seguire Giuseppe Mussari, presidente prima in Fondazione e poi in banca. Riservato, taciturno, gran lavoratore, David non si lasciava sfuggire nulla. Era attento ai dettagli, anche i più impercettibili, nei suoi scritti mai un errore di battitura, nel suo vestire mai un accostamento sbagliato, perché è dai particolari che si comprende il contesto generale. Sempre un passo dietro al suo presidente, aveva cominciato ad assumere nel tempo un ruolo sempre più attivo e da protagonista. Per quanti volevano arrivare a Mussari, o Beppe come molti a Siena lo chiamavano, bisognava passare da lui. Era diventato il crocevia di tutto. Di troppo, forse.
E quando Mussari esce di scena nella primavera 2012, anziché essere fatto da parte dalla nuova dirigenza venne lasciato al suo posto. E forse questa è stata la sua disgrazia maggiore. La città in preda all’assenza di punti di riferimento certi ha usato il suo ruolo per tentare di arrivare al vertice della banca, e forse ne ha abusato. In questi ultimi mesi è apparso a tutti il taglio radicale che Alessandro Profumo e Fabrizio Viola hanno voluto imprimere nei rapporti con la città. Forse per non rimanere intrappolati e strozzati da quel “sistema” che si era nel frattempo aggrovigliato. Meglio rimanere isolati, meglio non mescolarsi, meglio rimanere a Milano. E così su David si sono ancora di più scaricate le tensioni, le ansie e i problemi di un’intera collettività ormai senza punti di riferimento dentro e fuori la banca.
Nel frattempo, c’era da lavorare per i nuovi. E c'è chi dice che non ci fosse tutta questa fiducia nel suo lavoro, come dichiarato a posteriori dai vertici di Mps. Troppa tensione. David Rossi si è trovato al centro di tutto ed è probabilmente rimasto incastrato in un ingranaggio più grande di lui che ha finito per schiacciarlo. E lui, che era abituato a controllare tutto, forse, non ha retto. Pare che in quella maledetta giornata di mercoledì 6 marzo si fosse confidato con qualcuno e a qualcun altro avesse confessato già da qualche giorno la voglia di andare dai Magistrati, dopo la perquisizione subita. Chissà, forse per uno sfogo o per spiegare quella “cavolata” mai più spiegata, piegata in un foglio mai spedito.
Con la morte di Stefano Bellaveglia fu l’inizio della fine per la Banca. Speriamo, almeno, che la morte di David Rossi possa essere la fine di questo incubo per la Banca e per tutta la città. Solo così ci sarà un po’ di pace anche per quelle centinaia di senesi, amici e colleghi, che in una piovosa e triste mattina di marzo lo hanno pianto nell’ultimo viaggio.
Ora i loro nomi riposano nella cenere. In nome di Montepaschi.