Dal 9 al 14 dicembre (da martedì a sabato alle 20.45, la domenica alle 15.45) il Teatro della Pergola di Firenze ospita l’opera di uno degli autori più grandi della storia della letteratura (toscana, italiana, europea, mondiale): Giovanni Boccaccio, reinterpretato da Stefani Accorsi sul palco e da Marco Baliani alla regia in “Decamerone – vizi, virtù, passioni”.
Decamerone Sulla strada del progetto “Grandi italiani”, dopo le rime dell’Ariosto, Stefano Accorsi e Marco Baliani incontrano le novelle di Boccaccio con “Decamerone – vizi, virtù, passioni”. Attore, regista e drammaturgo, Baliani costruisce per Accorsi uno spettacolo che racconta il mistero della vita stessa, un’amarezza lucida che risveglia la coscienza, facendo scoprire al pubblico che il re è nudo e che per liberarci dalla “peste” dobbiamo partire dalle nostre fragilità e debolezze. «Le storie servono a rendere il mondo meno terribile – dice Baliani – finché si racconta, finché c’è una voce che narra, siamo ancora vivi. Abbiamo scelto di raccontare alcune novelle del Decameron perché oggi ad essere appestato è il nostro vivere civile. Percepiamo i miasmi mortiferi, le corruzioni, gli inquinamenti, le mafie, l’impudicizia e l’impudenza dei potenti, la menzogna, lo sfruttamento dei più deboli, il malaffare. In questa progressiva perdita di un civile sentire, ci è sembrato importante far risuonare la voce del Boccaccio attraverso le nostre voci di teatranti».
Un passatempo tra la peste La vicenda raccontata è nota: la città di Firenze è appestata e ci si ritira in collina per difendersi dal flagello implacabile. Serve un modo per passare le lunghe giornate, servono storie che facciano dimenticare, storie di amori ridicoli, erotici, furiosi; storie rozze, spietate, sentimentali, grottesche, paurose, purché siano storie, e raccontate bene, perché la vita reale minaccia. Ancora la voce di Boccaccio deve risuonare «per ricordare che possediamo tesori linguistici pari ai nostri tesori paesaggistici e naturali, un’altra Italia, che non compare nei bollettini della disfatta giornaliera con la quale la peste ci avvilisce – prosegue Baliani – per raccontarci storie che ci rendano più aperti alla possibilità di altre esistenze, fuori da questo reality in cui ci ritroviamo a recitare come partecipanti di un globale Grande Fratello. Perché anche se le storie sembrano buffe, quegli amorazzi triviali, quelle strafottenti invenzioni che muovono al riso e allo sberleffo, mostrano poi, sotto sotto, il mistero della vita stessa o quell’amarezza lucida che risveglia di colpo la coscienza. Potremmo così scoprire che “il re è nudo”, e che per liberarci dall’appestamento, dobbiamo partire dalle nostre fragilità e debolezze, riconoscerle e riderci sopra, magari digrignando i denti».