ECONOMIA FINANZANei giorni della caduta, a colpi di Ruby Rubacuori, del Governo Berlusconi, il Pil cresceva di appena lo 0,4%, il tasso di disoccupazione era all’8,4%, il rapporto deficit/Pil era al 3,9% e il rapporto tra debito/Pil era al 120%.

Una situazione catastrofica per il Paese, che legittimava un cambio di rotta immediato, con un Governo ormai senza più risorse politiche da spendere, e una penisola da salvare prima che sprofondasse sotto i mari come un’Atlantide stracciona. Salvarla però senza il ricorso ad elezioni, considerate da quasi tutti, ma soprattutto dal Presidente Napolitano, come un salto nel buio.

Dopo più di tre anni di governi tecnici e di larghe intese, prima Monti, poi Letta e ora Renzi, governi di emergenza nazionale con un solo punto vero nel proprio programma grande come una enorme pezza da mettere nel disastro italiano, il Pil adesso è sotto lo zero, -0.3%, il tasso di disoccupazione è al 12,5%, il rapporto deficit/Pil sta di nuovo crescendo e arriverà fino al 2,9% e il rapporto debito/pil si attesta al 133%. E visto che nella pezza ci stavano anche le riforme costituzionali, aggiungiamoci che siamo ancora senza uno straccio di riforma approvata. Anzi, ci troviamo con una nuova legge elettorale vigente, mai approvata dal Parlamento, risultato dell’opera di rimodellamento della Consulta.

Per finire il Presidente della Repubblica, il Grande Sarto del rattoppo nazionale di cui sopra, sembra annunciare di andarsene a fine anno con la toppa ancora in mano.

Ora, attenzione, tutto questo non per l’ennesima gufata malevola e invidiosa al Governo Renzi: si sa che le misure di politica economica adottate producono i loro effetti, quando li producono, dopo un anno e mezzo circa, e Renzi è lì da poco più di otto mesi. Su questo magari però mettiamoci d’accordo: se sono merito di questo Governo i lievi segni di ripresa dell’occupazione sbandierati da giorni, sono colpa anche di questo Governo i dati macroeconomici da si salvi chi può prima citati (entrambe attribuzioni non vere a mio avviso, ma se proprio si vuole insistere…).

Tutto questo per dire che se tre anni fa nel buio non ci siamo saltati, adesso però dovremmo sentirci nelle tenebre più profonde. Se tre anni fa era emergenza, ora dovremmo sentirci nel centro dell’armageddon, alle porte della fine dei tempi. Se tre anni fa eravamo sull’orlo del precipizio, adesso dovremmo sentirci già in volo a testa in giù.

E invece no. Non si respira negli ambienti che contano – ambienti che noi ovviamente vediamo riflessi tutti i giorni in tv, sui giornali, nelle agenzie, nelle dichiarazioni pubbliche – quel clima di terrore che caratterizzò la fine del 2011 e che fece apparire Mario Monti come l’ennesimo salvatore della Patria. Quel clima non si respira in Italia, ma non si respira nemmeno nell’Europa che guarda all’Italia, da dove arriva sì ancora qualche lettera ai governanti nostrali, ma non sono più lettere scarlatte come ai tempi che furono. Va bene, la crisi, ma insomma pian piano i conti stanno tornando a posto. Si vabbe’ gli operai delle acciaierie ternane che occupano le autostrade. Si vabbe’ un po’ tutto, ma siamo speranzosi, siamo ottimisti.

Una domanda poi soprattutto non senti più aleggiare nemmeno a sinistra: chi paga la Crisi? All’inizio del “periodaccio” era questo il tormentone a sinistra. Chi paga il prezzo della Crisi? Domanda scomparsa dallo scenario pubblico.

Ti domandi allora: non è per caso che sono tutti così tranquilli perche nel frattempo hanno trovato chi paga, e magari sono sempre gli stessi?

Già perché dentro una crisi sono due le grandi cose da tenere d’occhio: i conti pubblici da una parte, lo stato sociale e il lavoro dall’altro. Tutto deve stare in piedi certo, perché se viene meno una gamba cede anche l’altra. Non ci sono stato sociale e lavoro senza conti pubblici che reggano è vero; ma se distruggi lo stato sociale e il lavoro poi dei conti pubblici te ne fai aerei di carta per il tempo libero.

O meglio, e sta qui il punto, se ne fanno aerei di carta soprattutto coloro che “non hanno”, e la cui dignità di vita dipende anche dalle politiche di welfare e da un lavoro retribuito e garantito. Per chi già “ha” la prima preoccupazione invece sta sull’altra gamba, sui conti pubblici, perché se vanno in crisi i conti pubblici uno Stato la prima cosa che è costretto a fare è prendere a chi più possiede, e se poi crollano del tutto “chi più ha” rischia parecchio davvero (“chi non ha” rischia meno, o perlomeno molto meno rispetto alla cancellazione del welfare e al depauperamento del lavoro)

Volendo fare un po’ di politica economica “for dummies”, andando un po’ a spanne insomma, potremmo dire che lo Stato quando affronta una crisi economica è chiamato, come un giano bifronte, da un lato a tenere d’occhio i conti, ma dall’altro non solo a promuovere la crescita incentivando gli investimenti (e qui i temerari che volessero arrischiarsi in una denuncia per keynesismo molesto possono aggiungere “attraverso la spesa pubblica”, gli altri ciò che vogliono fino a un semplice “oh issa”), ma anche a salvaguardare le politiche di welfare dalla scure dei tagli e il valore del lavoro da dinamiche salariali negative.

La “destra” e la “sinistra”, quella roba che molti dicono scomparsa, te la ritrovi in questo punto del ragionamento. Perché se è vero che il castello deve stare in piedi tutto, è anche vero che alla fine i governi giocano comunque una partita, sono comunque costretti a fare una scommessa, e scelgono se rischiare di più sul fronte dei conti pubblici, o rischiare di più su quello dello stato sociale e del lavoro. E lo scelgono banalmente in base a chi rappresentano. La destra storicamente rappresenta “chi ha”, la sinistra “chi non ha” o ha meno, ovviamente con tutte le sfumature del caso, ricordando che le cose non sono mai solo bianche o nere, al netto del settarismo, ribadendo che il mondo non è più quello del XX secolo e tantomeno quello del XIX. Tutto quello che si vuole, ma la sostanza, tolta la buccia, quella rimane

Si è portati allora a trarre delle conclusioni. Se in Italia la crisi dei conti pubblici ha innescato un’emergenza nazionale con tanto di Camere blindate da ogni ipotesi di scioglimento, governi tecnici imposti al Parlamento, larghe intese tra partiti fino a quel giorno nemici giurati, la rielezione di un Presidente della Repubblica per la prima volta nella storia repubblicana, la nomina di un senatore a vita pochi attimi prima di farlo Presidente del Consiglio, l’introduzione del pareggio di bilancio in costituzione.

Ecco, se la crisi dei conti in Italia ha innescato tutto questo, se la crisi dello spread (parametro sconosciuto ai più fino ad allora) ha scatenato ‘sto pandemonio, mentre al contrario di fronte ad un tasso di crescita del PIL con segno meno e un tasso di disoccupazione a livelli mai visti nel Dopoguerra, si fanno spallucce, si tira un sospirone e ci si limita all’auspicio che arrivino tempi migliori, e nel frattempo si continua a tagliare lo stato sociale e a scherzare con il fuoco sul tema dei salari, a me qualche idea su chi davvero stia pagando la crisi comincia a venire, insieme al sospetto che l’ombrello di Altan sia di nuovo nel posto consueto.

A voi no?