«Il pensiero corretto da avere su Michel Houellebecq è che è una carogna. Un misantropo, un cialtrone, un provocatore, un impostore, un vigliacco, uno che bluffa, uno che esagera (…) il pensiero corretto è dire che Houellebecq è uno scrittore mediocre». Così scriveva Giuseppe Rizzo su Internazionale all’uscita del romanzo “Sottomissione“.
In più Houellebecq non è neppure bello da vedersi, tutt’altro, con quel suo look un po’ da folle e un occhio torvo a tratti inquietante. Tendenzialmente è odiato da molti intellettuali di sinistra (ai quali anche io in qualche modo sento di appartenere), soprattutto per la sua indulgenza se non vera e propria appartenenza – almeno ideale – al Fronte Nazionale di Marine Le Pen. Il Manifesto, ad esempio, titolava “La banalità dell’odio” la sua recensione al libro, soffermandosi sull’autore prima ancora che sull’opera, come si può ben capire da queste poche righe: «una grande scrittura costruita sul vuoto di tutto il resto – non un vuoto del mondo, come vorrebbe farci credere, ma un vuoto di idee, gioie, socialità, progetti, piaceri e rabbie, indignazioni e volontà, insomma di vita. Un vuoto che è quello di Houellebecq stesso, reso merce vivente e scrivente».
Eppure, nonostante tutto, a me “Sottomissione” è piaciuto. E non solo perché Houellebecq scrive che nelle società contemporanea i docenti universitari sono “maschi dominanti” in virtù della loro intelligenza, dando soddisfazione a tutto il mio ego. In realtà, a parte questo passaggio, l’autore non sembra particolarmente indulgente verso la categoria a cui appartengo insieme a François, il protagonista del romanzo. I docenti di “Sottomissione” sono tra i primi a lasciarsi sottomettere, un po’ come avvenne nel 1931 in Italia con il giuramento di fedeltà al fascismo; anche loro, i professori, sono spesso intorpiditi, incapaci di reagire agli eventi, troppo presi dai lori interessi di ricerca o di bottega: “per loro – si legge – sembrava non esserci alcun problema, non si sentivano affatto coinvolti, e questo non faceva che confermare ciò che pensavo da anni: chi raggiunge lo status di docente universitario non immagina neanche lontanamente che un’evoluzione politica possa avere effetto sulla sua carriera: si sente assolutamente intoccabile”.
Ma al di là di queste questioni di carattere biografico ho trovato “Sottomissione” un libro duro ma interessante, a tratti intelligente, uno di quei libri capaci di sollecitare qualche pensiero, qualche riflessione su molte dinamiche sociali contemporanee; poi, sia chiaro, si tratta di un romanzo e non di un saggio sociologico o filosofico, e come tale va letto. Dal mio punto di vista non è certo un libro profetico, tutt’altro, e in questo credo di distinguermi da quanti vedono in Houellebecq un guru, uno che alla lunga è capace di interpretare il futuro. Ci sono passaggi eccessivi, come eccessiva è l’attenzione/ossessione per il sesso (sempre meno che in “Le particelle elementari“, sia chiaro) e per la misoginia, sulla quale il buon Freud probabilmente potrebbe dirci qualcosa ripercorrendo l’infanzia dell’autore.
Ma veniamo alla storia: siamo nella Francia contemporanea, alla fine del secondo mandato di Francois Hollande, e i francesi per scongiurare la vittoria del Fronte Nazionale al secondo turno si uniscono in una sorta di alleanza repubblicana (socialisti, liberali e moderati) e scelgono come presidente Mohammed Ben Abbes, esponente della Fratellanza musulmana, che incredibilmente era arrivato al ballottaggio. Il nuovo Presidente, dopo tutta una serie di concessioni ai partiti della coalizione a cui è affidato anche il compito di costituire il governo, punta tutto sul Ministero dell’Educazione e sull’introduzione di una sorta di Sharia attenuata, cui le élite francesi si adeguano quasi con piacere. Anche il nostro François finirà per convertirsi, un po’ per ricevere nuove gratificazioni intellettuali alla fine di una carriera non particolarmente brillante, un po’ per trovare soluzioni interessanti ad una vita amorosa particolarmente disastrata (è stata introdotta la poligamia e gli vengono prospettate nuove e giovani mogli), un po’ perché anche il suo ateismo poco convinto ha bisogno di nuovi punti di riferimento religiosi.
Così su due piedi può presentarsi come un romanzo islamofobo, soprattutto a chi ricorda ancora l’infelice uscita di Houellebecq che nel 2001 diceva che «l’Islam è la religione più stupida del mondo» oppure sulla base dello stereotipo che vede l’Islam come religione di conquista, magari attraverso la su potenza demografica.
A me in realtà il libro non è parso particolarmente islamobofo e anche l’autore sembra aver rivisto le sue posizioni, come si legge in una intervista rilasciata al Corriere della Sera nel gennaio 2015: «Cattolicesimo e Islam hanno dimostrato di poter coabitare. L’ibridazione è possibile con qualcosa che è davvero radicato in Occidente, il Cristianesimo. Mentre con il razionalismo illuminista mi pare inverosimile […] ho riletto con attenzione il Corano, e una lettura onesta porta a supporre un’intesa con le altre religioni monoteiste, che è già molto. Un lettore onesto del Corano non ne conclude affatto che bisogna andare ad ammazzare i bambini ebrei. Proprio per niente […] la violenza non è connaturata all’Islam. Il problema dell’Islam è che non ha un capo come il Papa della Chiesa cattolica, che indicherebbe la retta via una volta per tutte».
Dunque, più che di islamofobia in “Sottomissione” troviamo una sorta di declino dell’Occidente, anzi un vero e proprio “tramonto”, per citare Splenger. E come dopo ogni tramonto (della cristianità e del capitalismo, soprattutto) segue una nuova alba, che in questo caso Houellelbecq vede paradossalmente nell’Islam; si tratta di un Islam che arriva in modo pacato, non violento, che si insinua nelle pieghe della società francese che ha ormai perduto ogni altro riferimento culturale e ideologico. L’Islam arriva per colmare un vuoto non per sostituire un pieno.
Fantascienza, fantapolitica, fantasocietà, chissà. In ogni modo “Sottomissione” sembra piuttosto riprendere il pensiero di Durkheim – non so se l’autore ne fosse consapevole – che attribuiva un ruolo fondamentale alla religione vista come uno “strumento” per rafforzare la coscienza collettiva e la solidarietà sociale. La forza profetica, semmai, è proprio quella di Durkheim che oltre 100 anni fa scriveva che in ogni epoca «l’individuo si sottomette alla società, e questa sottomissione è la condizione della sua liberazione». Ovviamente io non sono d’accordo ma, da sociologo, posso comprendere!