“La riforma del Senato andava preparata meglio sul piano culturale”, è stato costretto ad ammettere Matteo Renzi dopo i duri scontri (è il caso di dire) della settimana scorsa. Già, la cultura. Anche i politici messi alle strette ne riconoscono un qualche valore. Ultimamente poi associandola al concetto di sfruttamento; «la cultura è il nostro petrolio» quante volte ce lo siamo sentiti dire? Un po’ come se bene culturale, condivisione di idee e prospettive, ricerca e tutela dell’arte e della storia fossero una questione commerciale da vendere al migliore offerente o turista di passaggio.
A Siena sull’argomento che un tempo non interessava nessuno (o quasi) è in corso una strana battaglia di trincea. Ricordo che per anni gli assessori delegati in Palazzo Pubblico sono state figure per lo più “esterne” alla città e con pochissimo appeal né tantomeno legami (ricordate Marina Romiti, Antonietta Grignani e Marcello Flores?). E se si esclude, in parte, il mandato di Omar Calabrese, la delega fu gestita sempre sottotono. Tanto c’erano Banca e Fondazione a finanziare le iniziative culturali senza bisogno di passare da Palazzo Pubblico. In Palazzo Sansedoni, all’indomani della mostra su Duccio del 2003, venne costituita una società strumentale che, di fatto, per quasi un decennio ha “verniciato”, monopolizzandola, ogni attività culturale cittadina e financo provinciale (come non ricordare i grandiosi investimenti per la “follia” di Vittorio Sgarbi, le mostre volute direttamente da Giuseppe Mussari o le comparsate di Alejandro Jodorowsky a Poggibonsi?). E se c’era qualcuno che poteva anche solo fare ombra a questo sistema della cultura veniva tosto allontanato. Una sorta di colpevole damnatio memoriae copre ancora i due direttori del museo d’arte contemporanea “Le Papesse”, Sergio Risaliti e Marco Pierini che, complice la felice intuizione dell’allora sindaco Pierluigi Piccini, avevano provato a inserire in modo stabile, con qualche successo, Siena nei linguaggi della contemporaneità.
Oggi che è saltato tutto, lo scontro politico sta coinvolgendo anche questo territorio, un tempo franco. E se il primo periodo della Giunta di Bruno Valentini nessuno si era nemmeno accorto (o quasi) che l’assessore alla cultura non c’era, da quando è stato chiamato l’ex rettore dell’Università per stranieri, Massimo Vedovelli, è tutto un fiorire di attacchi alla sua delega. E questa battaglia somiglia più ad una danza macabra sulle spoglie e le prospettive che un confronto dialettico e consapevole su uno degli aspetti – uno dei pochi – determinanti per il futuro della Città. In campo c’è la candidatura a Capitale della cultura per il 2019. E con essa anche una possibilità concreta di rilancio.
La guerra di trincea sembra combattuta da un lato da un gruppo di agguerrite signore (Rita Petti, Lucia Cresti e Anna Carli) che starebbero presidiando alcuni “fortini” da cui esercitare una presenza condizionante: la commissione cultura del Consiglio comunale, l’esecutivo cittadino del Pd e l’unità operativa della Candidatura 2019. A loro si aggiunge la battagliera Gabriella Piccinni , che starebbe conducendo una sua personale disfida per il Santa Maria della Scala (e la mostra di Staino “donata” da Maurizio Boldrini al Sindaco, e alla città, ne è il frutto evidente).
Se poi a questi nomi si sommassero anche alcuni componenti della famosa unità operativa del 2019 con una minima malizia, si potrebbe scoprire che tra parenti, discepoli e connessi, una operazione di “occupazione” è già stata compiuta, alle spalle forse del sindaco Valentini e dello stesso Pier Luigi Sacco, che sembra conoscere Siena solo grazie a qualche “guida” interessata.
Sull’altro lato del campo di battaglia c’è, dunque, l’assessore alla cultura Vedovelli che appare isolato, ma che in realtà potrebbe trovare alleati in tutti quei giovani studiosi, ricercatori, operatori della cultura che a Siena cercano di farsi spazio al di fuori dei soliti canali, occupati da decenni, e in alcuni casi senza titoli accademici. Probabilmente è a questo mondo che deve riferirsi Vedovelli, oltre che a ricucire i rapporti con le diverse compagnie che, solo poche settimane fa, hanno pubblicamente attaccato il suo bando, un po’ provocatorio in verità, sugli spettacoli estivi.
Per quanto riguarda lo spessore culturale in senso proprio e la notorietà e considerazione a livello nazionale e internazionale, tra Vedovelli e coloro che ambiscono a sostituirlo non dovrebbe esserci storia. Però deve al più presto scendere dalla Cattedra e iniziare a fare politica, anche se culturale, così come deve partecipare ai Consigli Comunali e dire quel che pensa sulle questioni che riguardano la sua delega. Il professore non era abituato a sentirsi messo continuamente in discussione ma la politica oggi è anche questo e bisogna accettare che lo scontro riguarda anche il “piano culturale”, con una vera campagna militarizzata dove si occupano posizioni, si piazzano uomini e donne, si bombarda il “nemico”, si stilano liste di buoni e cattivi.
Sullo sfondo rimangono, intanto, questioni decisive che sembrano non interessare a nessuno e non vengono affrontate, ovvero come e dove si trovano i soldi per completare il Santa Maria della Scala e dargli un’anima, per sostenere la “Rinaldo Franci”, il Siena Jazz e l’accademia Chigiana, per terminare e utilizzare al meglio i troppi “spazi espositivi” e gli “auditorium” di cui la grandeur passata ha disseminato la città. Continuare ad avere una cultura azzoppata e una guerra di trincea a Siena non giova a nessuno. Tantomeno alla candidatura Siena2019.
Ah, s’io fosse fuoco