Siena sembra avere svoltato, definitivamente. Non ancora la Città ma senz’altro il nucleo della sua principale economia, che poi ha significato tutto (o quasi) in questi ultimi decenni. Rocca Salimbeni, infatti, era diventata fulcro e cagione di ogni cosa. Da Mps passavano i destini delle famiglie per il lavoro (passato, presente e per il futuro dei figli), per le attività ludiche e ricreative (con la pioggia di utili venivano finanziate miriadi di iniziative e associazioni, ricordate la celebre “associazione delle mogli dei medici”?), per i successi sportivi (Mens Sana e Robur in testa che non avevano solo la banca come sponsor ma venivano tenute in vita dai soldi del Monte, come conferma l’inchiesta sulla vendita del marchio Robur – 25 milioni dati dalla banca per acquistare un logo che ne valeva forse 4/5) e per chissà quant’altre vicende.
La banca come il “motore immobile” aristotelico era causa di tutto quel che si muoveva (e decideva) a Siena. Sappiamo com’è andata e per colpa di quali ingordigie sia finita quasi sul lastrico, provocando crisi e perdita di ricchezza per sé e per tutto ciò che condizionava. Ora è arrivato lo Stato e speriamo solo che sappia (e voglia) metterci le mani per risanare una grande azienda a servizio del Paese e di questo territorio. La storia della banca più antica del mondo deve riprendere il suo corso fatto di efficienza ed efficacia, di erogazione del credito a imprese e famiglie e di supporto al territorio.
La politica è la grande sconfitta di questa storia. E sappiamo anche con quali sfumature di responsabilità. Sgomenta, pertanto, leggere certe analisi che puntano a individuare nel Partito Democratico uno dei salvatori della banca, oggi. Come se si volesse far dimenticare che proprio dal 2007 (anno della sua nascita) la banca ha iniziato ad imbarcare acqua da tutte le parti, governata com’era da uomini tutti targati Pd, in banca (Mussari, Rabizzi, Turchi, Monaci, Coccheri ..) e in Fondazione (Mancini, Bonechi, …) e perfino nei governi centrali (Amato e Bassanini, ma citerei anche D’Alema).
Per questo, a chi saluta felicemente il nuovo corso di Mps “nazionalizzato” vorrei far notare che a questo punto, dopo la banca, manca la svolta alla Città. E che non può essere salvatore della patria chi ha fatto il danno. Serve un vero cambiamento, che vuol dire metodi e visioni nuove e, naturalmente, persone diverse. Se non aggrovigliate a Siena le cose sono senz’altro ancora incrostate, come dimostrano questi ultimi 4 anni di amministrazione Valentini che non potuto essere il discontinuatore che aveva promesso in campagna elettorale.
I senesi sono stanchi e chiedono un cambio. Ma serve un’alternativa credibile, in grado di accelerare il processo di cambiamento che, si voglia o no, è già in atto. E chi finora è stato responsabile di avere accarezzato una certa mentalità da lavoro facile, da raccomandazione, da scorciatoie per facili avanzi di carriera, deve essere messo da parte; chi finora ha concesso o garantito prestiti facili agli amici e agli amici degli amici deve fare un passo indietro; chi finora ha teorizzato una certa “senesità” fatta da dinamiche fuori dall’epoca contemporanea deve essere azzittito.
Come? Con un’alternativa di governo, credibile, salda, affidabile, grazie ad un programma e un metodo che siano la migliore garanzia per l’opinione pubblica di di amministrare per i prossimi 10 anni, con il mandato di cambiare la mentalità alla Città che deve tornare a mettersi in gioco, investire sulle proprie eccellenze, sulla formazione, sul rischio d’impresa. Che punti a tornare capitale di un territorio straordinario che al momento gli ha girato le spalle.
Su Il Corriere Fiorentino intuisco che Roberto Barzanti ha capito tutto questo ma non riesce o non vuole andare oltre. E il suo sguardo, di solito lucido e brillante, sembra diventato ipermetrope, lontano vede bene ma fa fatica sulle cose a sé vicine. «C’è da ricostruire un ceto dirigente capace di affrontare la fase che si apre con coraggio critico e non biascicando stanche giaculatorie», scrive. «Le potenzialità su cui possono puntare Siena ed una vasta area dalle analoghe caratteristiche storico-ambientali sono note: occorrerà favorirle e connetterle in una visione in grado di mobilitare ogni possibile risorsa. Sono 38.000 le aziende che hanno sede legale nella provincia di Siena e marciano speditamente i settori del vitivinicolo, il farmaceutico, perfino l’industria dei camper. Sul patrimonio artistico e sulla qualità ambientale è superfluo insistere, ma il rischio di cadere in schemi di abusato e ovvio consumo è tutt’altro che evitato. Talvolta a Siena un rassegnato minimalismo sembra prevalere su fondate ambizioni di qualità».
Considerazioni giuste che però conducono, secondo il suo ragionamento, a risolversi tutte nel perimetro sempre più asfittico del Partito Democratico senese. Quasi che Barzanti non veda che quel partito a Siena ormai non c’è più, prostrato e sfinito in una guerra senza fine tra duellanti conradiani che forse hanno persino dimenticato il motivo del loro duellare (Valentini, Scaramelli, Ceccuzzi, Masi), senza contare i fuorisciti, silenti o parlanti.
«Tra le opposizioni – scrive ancora Barzanti – pullulano gruppi che inalberano la bandiera del civismo in chiave furbescamente mimetica o antipolitica. Un civismo autentico ritiene prioritaria una politica che solleciti buoni e attuabili programmi, al di là di rigidi steccati di partito o di corrente. Accoppiamenti poco giudiziosi fanno intravedere strane convergenze — penso alla neonata Unione popolare senese — tra chi alle passate elezioni si trovava su posizioni inconciliabili. Datati protagonismi attestano il riemergere di un déjà vu del quale si vorrebbe fare a meno»
E qui Barzanti non vede quel che ancora, certo, non c’è in forma definitiva ma che andrebbe casomai incoraggiato a crescere, evolversi, strutturarsi. Il civismo a Siena è frammentato, è vero, ma questo non vuol dire che non possa esserci un minimo comune denominatore in grado di tenere insieme quel che prima era andato diviso. L’unità è quel che chiedono i senesi e saranno disposti ad accettare tutti gli accoppiamenti (anche quelli “poco giudiziosi”) pur di dare una svolta alla Città.
Barzanti tra i suoi libri ha senz’altro la raccolta di saggi “Compromesso e alternanza nel sistema politico italiano” di Norberto Bobbio. «Non vi è alcun gioco – scrive il filosofo, contrario al compromesso storico tra Pci e Dc – che stabilisca che soltanto una delle parti debba sempre vincere. Un gioco in cui non vi sono almeno due parti in conflitto non è un gioco ma un solitario”.
C’è da chiedersi, allora, perché uno degli uomini migliori di quella sinistra che per tanto ha ben governato Siena e la Toscana non voglia ammettere che, sì, può esserci vita fuori dal Pd e per giunta alternativa.
Ah, s’io fosse fuoco