Piove sui tetti di Siena, sulle lastre e sul cotto del Campo. La città stamani si è svegliata in una giornata molto più autunnale che primaverile e senza il sindaco. Franco Ceccuzzi, infatti, si è dimesso nella notte di domenica «dopo aver profuso – si legge in una nota – un impegno incessante alla ricerca della continuità del mandato amministrativo» (leggi). E, invece, è arrivato un atto di autentica «discontinuità». Quella che ha tentato di praticare sugli altri, non sempre con successo, Ceccuzzi ha dovuto praticarlo su se stesso.
Le richieste di «discontinuità» Aveva chiesto «discontinuità» sulla banca, sulla fondazione, sulla Aousl, sulla organizzazione dello stesso Comune. perfino sugli organi di stampa. Troppa «discontinuità», si andava dicendo, e troppa tutta insieme. Per una città abituata a muoversi in modo felpato e senza mai troppi ed eccessivi strappi. A luglio toccò al provveditore della Fondazione Marco Parlangeli, poi a fine dicembre al direttore generale della Banca Antonio Vigni, infine, lo scorso aprile al direttore de La Nazione, Mauro Tedeschini, reo di aver pubblicato un comunicato stampa proveniente dalla Fondazione (leggi). Richieste di dimissioni, respinte al mittente, erano giunte anche al presidente della Fondazione Gabriello Mancini, al vicepresidente della Banca Ernesto Rabizzi, al direttore generale della Aous, Antonio Morello.
Scontro nel Partito Democratico Ma la «discontinuità» che lo ha fatto cadere ieri è stata quella pretesa all’interno del suo partito, il Partito Democratico. Qui le anime ex Ds convivono (fino a quando?) con quelle ex Margherita mentre quasi tutti gli altri cespugli nel tempo sono stati potati. E quello che avrebbe dovuto essere il compito più facile per un politico navigato come lui, che per anni è stato alla guida del partito, è risultato fatale. Non è riuscito, infatti, ad arginare le azioni dei fratelli Monaci, Alberto e Alfredo, in Consiglio Comunale, soprattutto dopo le nomine effettuate per la banca Monte dei Paschi di Siena.
Il confronto mancato Sei consiglieri del Pd (Giovanni Bazzini, Anna Gioia, Luca Guideri, Lucio Pace, Alessandro Piccini, Gian Luca Ranieri, Giancarlo Meacci) più Francesca Mugnaini (uscita dai Riformisti), infatti, lo scorso 27 aprile (leggi) avevano deciso di non votare il bilancio consuntivo 2011 e hanno mantenuto ferma questa posizione anche nei giorni successivi. Hanno spiegato le loro ragioni nelle riunioni di partito e anche pubblicamente. Volevano un confronto sui numeri (leggi) ma quel confronto non c’è mai stato.
Ipotesi «mozione di sfiducia» Ceccuzzi e la sua giunta, infatti, anziché cercare margini di trattativa hanno annunciato che il documento non sarebbe stato modificato. E oggi si sarebbe dovuto rivotare lo stesso del 27 aprile, senza spazi di manovra. E così ieri si è consumato l’ultimo atto con la convocazione di una direzione provinciale e comunale e con la voce che ha cominciato a circolare di una raccolta di firme per presentare in Consiglio una mozione di sfiducia al primo cittadino con i consiglieri di opposizione e i fuoriusciti. I numeri avrebbero potuto far dimettere il sindaco. E così Franco Ceccuzzi ha preferito giocare d’anticipo.
Scenari possibili e vie di fuga A volte dispiace dire l’avevamo detto. Ma appena una settimana fa avevamo ospitato un commento che ipotizzava proprio questo scenario e le possibili vie di fuga. «Saranno i fratelli Monaci a mettere l'ultima tessera del mosaico? Si assumeranno tutte le colpe, lasciando a Ceccuzzi un'uscita di scena da “discontinuatore” e martire?» (leggi). Pare proprio di si.
L’era dei professori e tecnici Piove sui tetti di Siena, sulle lastre e sul cotto del Campo. In palazzo Pubblico tornerà un commissario prefettizio, come quel Guido Padalino che guidò la città negli anni turbolenti tra il 1966 e il ’68. Poi arrivò il socialista Canzio Vannini e subito dopo l’era dei professori e dei tecnici, con i giovanissimi Roberto Barzanti, primo cittadino, e Augusto Mazzini, assessore all’urbanistica. Dopo la pioggia torna il sole. Sempre.