Certo è strano questo Pd senese. Perchè nel momento in cui vince – perchè ha vinto nonostante tutte le considerazioni già fatte nel precedente post – i due consiglieri regionali eletti, Stefano Scaramelli e Simone Bezzini, dicono la stessa cosa. E cioè, in sintesi estrema: abbiamo vinto nonostante il partito. E aggiungono, rispettivamente:
Bezzini: «Sono stato eletto nonostante l’ostilità del gruppo dirigente del partito, che hanno messo in moto azioni da apprendisti stregoni che non hanno funzionato. Non c’è stata una conduzione chiara della campagna elettorale». E chiama in causa il segretario provinciale Guicciardini, pur non chiedendo defenestrazioni.
Scaramelli, rivolto al gruppo dirigente del Pd: «Hanno scaricato contro di me negli ultimi giorni una macchina del fango incredibile. Hanno detto cose false e assurde, hanno delegittimato me, ma non stavano capendo che era la loro fine. Io credo che adesso devono comprendere l’errore che hanno commesso». E chiede il cambio della guida del Pd provinciale.
Toni diversi, perentori quelli di Scaramelli, visto il dna da rottamatore, più sfumati quelli di Bezzini. In sostanza, però, entrambi accusano il gruppo dirigente allargato – Guicciardini, Valentini, Dallai – di aver messo in atto operazioni e puntato su candidature, per cogliere due obiettivi: attenuare il successo annunciato di Scaramelli; cercare di far fuori il Bezzini. E che lo abbiano fatto puntando sull’obbligo di esprimere la doppia candidatura di genere, dovrebbe far riflettere – e forse indignare – le donne soprattutto del Pd.
Il segretario regionale del Pd, Dario Parrini, ha fatto come quegli arbitri che estraggono il cartellino giallo a richiesta di una squadra che si ritiene vittima di un fallo altrui. E in una intervista a La Nazione detta la linea per dividere i litiganti: «Sono stato a Siena qualche giorno fa. E abbiamo stabilito, tutti d’accordo, una linea: serve un cambio di passo nell’azione amministrativa e politica cittadina. Non si spazza la polvere sotto il tappeto. Va svolta al più presto una messa a punto programmatica, con un’apposita conferenza. Queste iniziative possono e debbono essere portate avanti in maniera costruttiva. Abbiamo bisogno di visioni. Non di divisioni».
In sostanza Parrini, che si aggiunge ai tanti del suo partito che chiedono al sindaco Valentini un cambiamento radicale – ma reagirà mai verso qualcuno il sindaco, alzando (politicamente) la voce? – invita a godersi il risultato e a spostare il confronto sulle cose da fare. Così facendo, forse, contribuisce a far svanire la grande occasione del Pd senese di essere un Pd normale, come dalle altre parti. Scaramelli è il leader renziano legittimato da oltre 15000 preferenze in provincia e 1800 in città. Bezzini ha vinto con oltre 7000 preferenze in provincia e 1500 in città, con l’appoggio trasparente e corretto di Susanna Cenni, leader dei cuperliani anche oltre la provincia di Siena. Questa, forse, avrebbe potuto essere l’occasione, rispettando l’indicazione popolare, di provare ad andare verso un partito governato sulla base di una maggioranza renziana e di una minoranza cuperliana. Certo con i passaggi dovuti, ma senza terre di mezzo, senza protagonisti trasformisti e tattici, senza signorotti locali che continuano a poter mestare in assenza di chiarimenti politici di fondo. Aderendo ad un progetto o ad un altro, non a convenienze episodiche e contingenti. Nell’era nuova di Renzi vincente il Pd a Siena non ha fatto i congressi per davvero, contandosi, ma “unendosi”. E il risultato si vede: litigiosi anche nella vittoria.
E’ interessante – e molto simile – anche ciò che si muove sul fronte dell’opposizione al Pd. Eugenio Neri ha lanciato prima delle elezioni, le cosiddette “primarie di liberazione dal Pd”, primarie di persone e non di partiti. Ma dopo il successo in città della Lega, è proprio la Lega il perno dell’opposizione. E Francesco Giusti coglie al volo e aderisce. Scrive sul profilo Fb di Neri: «Siena ha bisogno di scelte coraggiose, chiare, non di minestroni riscaldati o litigiosità. Bisogna essere del tutto alternativi al Pd: basta patti nascosti, basta distinguo, basta opposizione asservita. Allo stesso tempo, però, dico NO al partito unico e SÌ al Fronte di Liberazione ed al candidato Sindaco unitario. I senesi infatti vogliono: 1) Un Fronte di Liberazione unito e compatto; 2) Un candidato a Sindaco unitario, forte, chiaro, schietto e combattivo, stimato da tutti; 3) Idee chiare e ben articolate per il rilancio della Città. La Lega, primo partito di opposizione a Siena c’è e ci sarà. Vogliamo fare la nostra parte da attori principali».
Lorenzo Rosso, che ha avuto un buon risultato personale e come Fdi in città, su Fb mette altri paletti contro «chi chiese di andare al mare sopratutto. E che ancora parla. Fratelli d’Italia non dimentica. Ed anche la Lega,credo».
Un altro pezzo dall’opposizione al Pd, il Movimento 5 Stelle, con Michele Pinassi, osserva: «Mi spiace cari amici ma se ci sono temi sul quale la condivisione non solo è possibile ma doverosa, ve ne sono altri per i quali non credo sia possibile trovare una condivisione. Oltretutto non capisco la necessità di dover fare un minestrone tra anime diverse: i governi Prodi e Berlusconi hanno dimostrato come la convivenza, fatta di necessari compromessi, non porti a niente di buono».
Insomma, perdenti ma divisi. E tutti impegnati al gioco dei rinfacci. Le opposizioni senesi non dimenticano le fratture del passato e non guardano con una strategia unica al futuro. C’è chi vede un fronte unico contro il Pd, e chi invece pensa a due fronti – in grado di accogliere anche i delusi del Pd – da far convergere però con chiarezza nell’imminenza del voto. Ma di rispettare diversità di fondo, che in chiave elettorale potrebbero convergere, non ne vogliono sapere. Ognuno cerca di conquistare pezzetti di campo, mostrando i difetti dell’altro, continuando a giocare la propria partita. Come quando da bambini si tirava il pallone contro il muro, in attesa che arrivasse almeno un avversario per sfidarsi a “portine”. Così, il Pd può stare sereno. Comunque tempo ne avranno. Con un Pd che vince, ma che in città sa di non essere autosufficiente per niente, a Siena, salvo effetti del lavoro della magistratura su Monteriggioni, si voterà nel 2018. E le cose della politica cambiano anche radicalmente. Soprattutto al tempo di Renzi.
Alla fine, quello che viene da pensare è che il Pd che vince e l’opposizione che perde, a Siena continuano entrambi a lavorare per il vero vincitore delle elezioni regionali: l’astensionismo, che a Siena città è maggioranza.