C’è una Siena sempre più debole, ferita. E contemporaneamente un potere centrale, nelle sue varie espressioni, sempre più presente e pressante. Come Maramaldo. Proviamo a leggere la contemporaneità senese, dentro questa trama unificante, andando al di là delle singole vicende di Masterchef, di Fortezza, della Pinacoteca. Proviamo, facendo un passo indietro nel copione.
Il primo atto va infatti sotto il titolo: “La città depredata”. La trama è quella che ruota intorno all’acquisto di Antonveneta, con il “sacco” della città, depredata, appunto di risorse per miliardi e miliardi, in virtù dello scandalo del Monte dei Paschi. Al di là dell’esito dei processi in atto e delle responsabilità personali che ne deriveranno, dal punto di vista politico lo sprofondo del Monte è tutto sulle spalle del Pd e degli strapuntini verdiniani.
Anzi: si può dire che l’afflato tra Pd e Verdini ha trovato proprio nelle vicende senesi, e nelle poltrone montepaschine, il primo terreno di felice (per loro) e condivisa sperimentazione.
Oggi va in scena un altro atto: “La città ferita”, svilita o quasi, di ogni sua peculiarità di autodeterminazione. Sparita la trincea dei soldi del Monte, che servivano a tenere a bada gli appetiti dei poteri esterni a Siena, con adeguate, generose e mirate distribuzioni, di cui sarebbe bello trovar traccia nei 47 miliardi di crediti deteriorati della banca, la città è in balìa di poteri centralizzati – nazionali o regionali – che agiscono con l’arroganza di chi pensa ai territori solo come serbatoi di voti dei gonzi.
C’è da dire che di quella autonomia decisionale allora pagata con le prebende del Monte, e oggi negata, Siena non ha certo saputo approfittare, generando una classe non dirigente di fedeli ai potenti; non mettendo in piedi nessun investimento infrastrutturale per le generazioni future; interpretando la propria età dell’oro in chiave di meschina autoreferenzialità. Infine, utilizzando la rete del potere che dei soldi del Monte si pasceva, solo in chiave di consolidamento clientelare del potere, basato sul Pd più Verdini.
Così, adesso, cambiato scenario, le articolazioni del potere centrale dello Stato possono determinare le proprie scelte, sostanzialmente ignorando il Comune, che dovrebbe essere il dominus delle scelte sulla città.
Chi vuole potrà dire che è colpa di questa giunta comunale, che è debole. Ma in realtà Siena, senza più la corazza dorata del Monte, è il territorio dove vanno in scena nel modo più semplice, quelle filosofie centraliste che riguardano tutto il Paese e che si devono a Renzi. Sia in termini di Governo, che di Pd.
Una volta il partito rappresentava l’ancoraggio alla realtà del territorio, anche in termini di dialettica interna, ma oggi è del tutto superato dal peso elettorale dei vari leaderini locali, ognuno con le sue associazioni d’assalto e ognuno impegnato a farsi fare più selfie possibili con Renzi, per misurare e mettere in mostra il proprio potere.
C’è, insomma, qualcosa, che va ben oltre al no a Masterchef, o al rischio di una divaricazione tra il futuro del Santa Maria della Scala e la Pinacoteca; o alle stesse modifiche al regolamento della Fondazione Monte dei Paschi, che Clarich assicura ragionevoli per il territorio.
Ed è l’affermazione di un politica centralista, che non riconosce autonomie decisionali effettive alle periferie. Siena compresa. Nell’era di Renzi, ogni atto è funzionale ad una centralizzazione del potere, racchiuso in un cerchio magico: l’assurda riforma delle Province; i tagli alle disponibilità di investimento delle Regioni; i tagli ai bilanci dei Comuni. Tutto è funzionale a limitare il potere delle istituzioni locali elette dai cittadini. Un processo che si radicalizzerà ulteriormente in vista del referendum costituzionale di ottobre, trasformato da Renzi in un voto meramente politico: o con lui o contro di lui.
E’ in questo contesto, in questo Paese che non sa più riconoscere le peculiarità, le eccellenze, le identità dei suoi territori, che Siena appare trattata come una qualsiasi periferia dell’impero. Con funzionari statali che bypassano gli amministratori locali e che possono così determinare, per esempio, il no a Masterchef in Piazza del Campo e invece il sì – nella stessa Piazza – ai cuochi chiamati dalla Regione nel baldacchino dei cooking show in Piazza del Campo, per l’anteprima Expo del marzo 2015.
La stessa Soprintendente, evidentemente deve aver dato il suo placet per le orride casette di legno del week end della cioccolata, sempre in Piazza del Campo, nel marzo scorso.
E deve aver dato il suo placet anche ai buchi nelle mura della Fortezza, negando invece l’ok alla tensostruttura che avrebbe dovuto essere l’asse portante dell’uso della Fortezza medesima, che continua a rimanere lontana e non utilizzata, salvo che per le esigenze ginniche. Nonostante il progetto dell’azienda che aveva vinto l’appalto, avesse visto una collaborazione di affinamento progettuale tra l’azienda stessa e uffici della Soprintendenza. E in più, si sente anche dire che perfino le concessioni di suolo pubblico ultradecennali di attività di ristorazione – che danno lavoro – sarebbero a rischio perché la Soprintendenza potrebbe porre il veto.
Di bene in peggio, verrebbe di dire: ma sì, mettiamola sotto vetro Siena. Nel silenzio dei senesi.
Per fortuna rotto, per quanto attiene alla vicenda della Pinacoteca Nazionale e del Santa Maria della Scala (ne abbiamo scritto nel precedente post leggi), da un post di Pierluigi Piccini, dalle riflessioni di Roberto Barzanti, e dall’appello di tanti docenti universitari (leggi) a non svilire il progetto di trasferimento al Santa Maria della Scala.
Con la Pinacoteca a quota 21.972 visitatori e il Santa Maria della Scala intorno a 70.000, ogni correzione in corso d’opera, frena, cambia gli scenari, ma non rilancia nulla. Gabriella Piccinni, Roberto Bartalini, e gli altri firmatari dell’appello, bene spiegano le motivazioni anche culturali del ripristino della direttrice di marcia per il trasferimento della Pinacoteca al Santa Maria della Scala. Ha firmato l’appello anche il vicesindaco Fulvio Mancuso, il sindaco Bruno Valentini ha mostrato di essere sulle stesse posizioni. Bene: ora si tratta di saper affermare il senso di una scelta che maturò a Siena, ma seppe permearsi dell’apporto di tante intelligenze mondiali, sfociate poi nella scelta del progetto Canali nel 1992 e nella convenzione Stato-Comune di Siena nel Duemila.
Altri tempi. Oggi, al pensiero debole, debolissimo, della Siena contemporanea, divisa e frammentata in mille rivoli di malcontento sterile o di propaganda inutile, fa da contrappeso invece un potere centrale debordante e sempre più arrogante. Che non sopporta autonomie. Nemmeno di pensiero. Mala tempora