Prosegue a Siena il dibattito sui destini della città dopo la drammatica crisi che l’ha travolta in questi anni. Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Simonetta Losi, condividendolo. (M.T.)
Smettere di guardare al passato, progettare la Siena che verrà a partire da quella che è attualmente. È possibile? E come? Stiamo vivendo una lunga, dolorosa impasse tra ricerca delle cause della crisi ed esigenza di superarla. Da un lato le accuse e le lamentazioni per lo più sterili; dall’altro gli inviti alla rimozione e all’oblio, indotti da chi ha tutto l’interesse di tenere le vicende di Siena nascoste sotto la sabbia.
Ci sarebbe un modo alternativo, intelligente e onesto per raccontare il presente e progettare il futuro di questa città partendo dalla sua storia più recente: pretendere la verità. Ma come cantano Fibra e la Nannini: “Ci sono cose che nessuno ti dirà/ ci sono cose che nessuno ti darà/ sei nato e morto qua, nato e morto qua, nato nel Paese delle mezze verità”.
Ecco, le mezze verità. Quando va bene. Si sorvola su molte cose e le mezze verità che ci vengono raccontate sono costituite di operazioni che appaiono più di restyling che sostanziali. L’impressione è che si tiri a campare, cercando di stare in equilibrio, e questo giocoforza significa anche rimanere in superficie. Si cerca di stare in equilibrio tra bilanci in rosso fisso, aspettando che presidenti e direttori vadano naturalmente in pensione per raggiunti limiti di età – quelli di decenza sono stati già superati da un pezzo – e tra vecchie volpi della politica in agguato. Anche questi ultimi, a modo loro, aspettano che passi la nottata e che si riapra un varco, uno scenario, una situazione per tornare al timone.
Siena sta tra l’incudine e il martello. O meglio, tra la falce e il martello che hanno costituito una realtà radicata, inamovibile. Un “rosso fisso” responsabile, politicamente, di tutti i “rossi” dei conti di città e provincia.
Volendo guardare avanti, io non vedo un progetto di città a lungo termine, in un momento in cui invece sarebbe necessaria una classe dirigente progettuale, lungimirante, addirittura visionaria. Brillano assenze e silenzi fondamentali in settori vitali per la rinascita di Siena. Sono cose sotto gli occhi di tutti, ma che sempre per “mantenere il buon per la pace” non vengono affrontate da chi potrebbe e dovrebbe farlo.
La gente si rasserena con le iniziative, per la maggior parte lodevoli, piacevoli, di manifestazioni turistiche, artistiche e sportive, portate avanti grazie alla caparbia attività di una manciata di agguerriti assessori, giovani nelle idee e nelle energie. Sono eventi essenziali perché riempiono il quotidiano e lo rendono gradevole: ma passare un giorno dietro l’altro senza dare – come Amministrazione nel suo insieme – l’avvio a grandi e ambiziosi progetti, senza dare risposte a questioni complesse, non significa far rinascere la Città. Significa tirare a campare.
Di progetti ne basterebbero due o tre, per poter dire di aver lasciato un segno, di aver gettato le basi per il futuro. La sensazione è che si cerchi soltanto di rendere piacevole il quotidiano. Benissimo, ma è necessario guardare oltre la siepe e in alto. “Ove per poco il cor non si spaura”….
Siena, per progettare il proprio futuro, deve necessariamente fare anche i conti con il proprio passato: non quello glorioso, rassicurante, del Governo dei Nove, che perpetua il sogno e lo scollamento dalla realtà attuale, ma quello più recente.
Scomodo, doloroso, inquietante, per nulla piacevole. Tuttavia, fare la storia di Siena negli ultimi 25-30 anni aiuterebbe a interpretare il presente e prevedere il futuro. Magari anche per trarre conclusioni che porterebbero alla metaforica defenestrazione di molti personaggi che ancora gestiscono – male – la cosa pubblica. Magari anche per chiedere conto agli attuali Presidenti del loro operato, facendo tesoro dalle lezioni del passato, che insegnano che non fidarsi è meglio e che comunque la cosa pubblica è pubblica, non cosa loro.
Fare i conti con se stessi: si tratta non di guardarsi indietro, ma di fare un’analisi seria per uscire dal sonno, dal sogno, dall’inerzia che molti, ancora oggi, hanno interesse a mantenere perché – ancora una volta – non si disturbi il manovratore.
Continuare a indurre le persone a pensare a un finale “e vissero tutti felici e contenti” non significa alimentare un necessario ottimismo che permetta di uscire dalla crisi di Siena. Significa continuare a raccontarsi e soprattutto a raccontare le favole ai senesi. Nella migliore delle ipotesi, per tirare – appunto – a campare.
* Giornalista. Collaboratore Esperto Linguistico – Università per Stranieri di Siena