Far leva sul patrimonio artistico e sulle attività culturali è rimedio osannato in un’infinità di discorsi su città come Siena, ferite da una grave crisi economica. Ma per non affidarsi a formulazioni miracolose quanto confuse è necessario capire bene che cosa significhi in concreto lavorare per questa conclamata priorità della cultura.

L’Accademia degli Intronati ha convocato a questo scopo un convegno cui ha dato un titolo a prima vista strano: «Città di cultura, cultura della città». La convinzione alla base dell’iniziativa è semplice: una città può privilegiare il suo attaccamento alla cultura nelle varie forme che essa assume se si ha della città stessa e del paesaggio in cui si colloca una visione rigorosa, se si riesce a renderla complessa e abitata da cittadini che ne garantiscano una vitale commistione di funzioni. Il più delle volte circolano pericolose illusioni o s’inseguono grossolane scorciatoie. Tra queste a primeggiare è senz’altro il turismo, genericamente invocato come consistente fonte di comode rendite di posizione. Dagli interventi che si son snodati durante l’incontro si sono ricavate indicazioni da tenere a mente, valide non soltanto per Siena.

No a progetti mirabolanti Per assegnare davvero alla cultura – alle culture – un’energia egemonica non si deve far affidamento su mirabolanti progetti slegati da una motivata visione d’insieme. E gli investimenti pubblici e privati necessari devono produrre formazione, tradursi in radicate istituzioni o società o imprese, che coinvolgano i tanti gruppi giovanili attivi ma dispersi, non di rado frustrati. Sono ormai innegabili i fallimenti insiti in un’ideologia dei “centri storici” ancorata alla ipocrita protezione delle loro forme. C’è stato un vizio di sospettoso storicismo che ha sortito positivi effetti – a Siena in misura soddisfacente – ma non si è riusciti a combinare questa sacrosanta linea con interventi architettonici innovativi e soprattutto con la dimensione sociale, se non in frammenti o in circoscritte parti del tessuto urbano. Una città contemporanea deve unire centro e cosiddette periferie. Deve elevare a qualità urbana l’area vasta in cui è insediata. I cosiddetti “centri storici” – quelli privilegiati dall’Unesco come patrimonio dell’umanità in prima fila – rischiano di diventare seducenti vetrine, se non mercati naturali o parchi tematici.

Urbanistica è parola caduta in disuso nella folla delle normative che si sono accumulate: rivisitata e aggiornata deve riacquistare il peso perduto. Da un lato bisogna battersi contro la rapacità del mercato globale, che sequestra a residenza alberghiera, a B&B, appartamenti su appartamenti, dall’altro è indispensabile opporsi ad una cinica deregulation. Se il capitale finanziario ha subito in Mps colpi terribili esiste un capitale sociale che dà speranza. Cooperative ingegnose sono sorte nelle antiche Contrade. Startup sorgono dove meno te l’aspetti. Non è fantascienza ipotizzare un’«infrastruttura culturale» che dia continuità a salde e creative collaborazioni. Il Santa Chiara Lab di matrice universitaria partecipa a PRIMA (Partnership for Research and Innovation in the Mediterranean Area) che sviluppa soluzioni innovative in materia di agricoltura, industria alimentare e uso delle risorse idriche. L’Università per Stranieri ha stabili accordi con Brasile, Cina, Giappone, Russia, Usa. L’Accademia Musicale Chigiana e Siena Jazz stanno dentro un polo musicale che acquista un rigoglio cosmopolita sempre più marcato. Tra poco sarà trascorso un anno dall’insediamento della nuova Giunta comunale. La delega della cultura se l’è tenuta il sindaco Luigi De Mossi. Nulla da eccepire se guiderà un rilancio davvero in grande stile. Sono state troppe finora le banali fiere circensi presentate per cultura. I limiti da imporre alla sciatta turistificazione siano contrastati da un rinnovato senso della comunità: il «terzo pilastro» tra Stato e mercati, da rinvigorire nei suoi valori fondanti.

Tratto dal Corriere Fiorentino del 15 giugno 2019