È notizia di qualche giorno fa l’arresto a Milano dei tre fratelli Magnoni e del figlio di uno di loro, Luca. Sono accusati di frode fiscale e truffe ai danni di terzi, oltre al dissesto di una holding finanziaria, la Sopaf, attraverso “episodi distrattivi e dissipatori”. Sorprende che proprio Luca Magnoni per un certo periodo sia stato consigliere di amministrazione del Siena Calcio, pare su indicazione della banca Mps (leggi). Rimase nel cda solo un anno (2012/13), durante il quale aveva ricevuto il compito di predisporre un piano di rientro del debito della Robur. Poi, non se ne fece di nulla, il Magnoni tornò nella sua Milano e a Siena nessuno si ricordava più di lui. I Magnoni saranno senz’altro innocenti e potranno provarlo in tutti i gradi di giudizio, sebbene l’accusa nei loro confronti sia particolarmente fastidiosa (tra l’altro avrebbero raggirato le casse di previdenza di giornalisti, medici e ragionieri per centinaia di milioni di euro). Però viene spontanea una domanda: ma la banca Mps e i suoi attuali vertici non avevano proprio nessun altro da nominare a cui affidare un piano di salvataggio della Robur nel 2012? Era proprio il miglior finanziere in circolazione per cooptarlo a Siena a risanare una società tanto sensibile? Qualche dubbio, mi sia permesso, viene e pone un dubbio ancora più grande su quel che sta accadendo sulla testa della città.
Nel terremoto che da due anni interessa Siena e il suo sistema, come vengono scelti oggi gli uomini chiamati a guidare il cambiamento? Si pongono serie questioni di metodo e di merito nella loro indicazione o ci si accontenta che rispondano a precise logiche politiche e spartitorie? La domanda è ancora più stringente alla luce del recente e netto rifiuto della Antonella Mansi a proseguire l’esperienza in Palazzo Sansedoni. Siena, che si era ricompattata intorno a questa eroina venuta dalla Maremma, è rimasta freddata da quell’annuncio a sorpresa domenica scorsa: “non mi ricandido”. Punto. E subito in città è partita (quasi nulla fosse) la corsa al suo successore. E forse anche questo atteggiamento può avere influito sui “motivi personali”, cui francamente è difficile credere, del “gran rifiuto” della Mansi a proseguire l’esperienza senese.
Ma un vero dibattito pubblico e condiviso su come scegliere una classe dirigente nuova, non compromessa con il sistema precedente non sarebbe più importante rispetto alla solita ridda di nomi dati in pasto alla stampa per settimane? Colpisce, in questo senso, la decisione, per il secondo anno consecutivo, di sospendere il “Mangia d’Oro” piuttosto che individuare formule premianti alternative per senesi meritevoli. Sembra una resa incondizionata ed è deprimente per chi invece fa il suo dovere e meriterebbe un riconoscimento pubblico. Possibile non vi siano senesi meritevoli nei campi delle scienze, delle arti, dei mestieri e delle professioni? Rinunciare sembra quasi riconoscere che il Premio era per la Casta. E che distrutta quella in giro non ci sono altri senesi degni.
A questo punto il problema pare proprio questo. Questi due anni di tempesta avrebbero dovuto far cambiare mentalità alla città e, mi si permetta, anche alla sua classe dirigente. Invece, oltre ad alcune indubbie novità, ad affiorare sembrano essere sempre le stesse facce. Due casi su tutti. Da settimane si fa il nome dell’ex assessore comunale (nelle giunte Cenni e Ceccuzzi) Mauro Marzucchi, oggi consigliere comunale di minoranza, per un ruolo di amministratore in Siena Casa, mentre Alessandro Mugnaioli, grande alleato di Franco Ceccuzzi e attuale segretario comunale del Pd, è stato lì lì per il posto di amministratore unico di Enoteca Italiana, stoppato poi da una norma che ne prevedeva la incompatibilità.
Niente da dire sulle persone. Ma veramente sono i soli nomi possibili per ricoprire certi ruoli? Uomini del passato che peraltro non hanno mai abiurato né i metodi né i risultati? E altri, in giro, non ci sono? Quale messaggio si intende dare alla collettività con queste nomine? È vero, nemmeno la nomina del giovanissimo Alessandro Francesconi a vice presidente della Siena Parcheggi aveva riscosso entusiasmi ma almeno è un giovane e responsabilità sul passato recente della città non possono essergli addossate. Ma chi ha gestito e amministrato per oltre un decennio merita davvero ancora un riconoscimento politico con tutto quello che è successo? Lo stesso vale anche per altri che, è una sensazione, hanno aspettato solo che passasse il temporale per poi tornare fuori appena spiovuto.
Su questo punto, a mio parere, Bruno Valentini e tutte le forze politiche della maggioranza che lo sostengono, Partito democratico in testa, si giocano molta della credibilità per i prossimi anni. A loro sta in capo una grande responsabilità: accontentarsi di gestire l’oggi, con accordi politici di immediato ritorno (si parla di una alleanza in corso di definizione con i ceccuzziani in Consiglio Comunale) o scommettere e investire sul futuro, facendo definitivamente tabula rasa del passato. Di un passato recente che non può certo considerarsi glorioso per la città e per tutte le sue istituzioni. E nessuna può sentirsi esclusa, Università, Fondazione, Banca, Azienda Ospedaliera, Robur, Mens Sana.
A lui (a loro) sta indicare come deve proseguire quella rivoluzione dolce che appena un anno fa fece prevalere l’ex sindaco di Monteriggioni sul candidato rivale. Se non si saprà gestire questo passaggio il rischio è solo la restaurazione, che in tanti intravedono all’orizzonte. La rivoluzione francese ci insegna che dopo le barricate e la libertà dai Monarchi assoluti arrivò Robespierre e la ghigliottina. Ma Siena francamente non merita né una restaurazione né le ghigliottine in piazza.
Ah, s’io fosse fuoco