L’intervento di Lorenzo Brenci, storico esponente dei Ds e Pd, con anni dedicati alla politica cittadina e per sei anni in Consiglio Comunale a Siena, analizza gli scheramenti in campo in città in vista della campagna referendaria, con la costituzuione di comitati per il Si determinati più da un posizionamento in vista degli appuntamenti del Pd che non un reale interesse per il referendum stesso.

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Lorenzo Brenci

Prima dello scontro, fisico o rituale che sia, i contradaioli si schierano, “fanno le fila”, è un momento decisivo, perché ci si guarda negli occhi e si tenta di capire quale determinazione animi le schiere dei contendenti. Può essere utile, addirittura, ad evitare lo scontro, quando le forze sono paritarie e c’è solo il rischio di farsi male.

La questione del referendum costituzionale rappresenta l’occasione giusta per il Pd cittadino di “contarsi”, verificare su quali forze può contare e come sono distribuite al suo interno. In molte realtà provinciali, il Pd ha dato luogo ad un “Comitato per il Sì” di partito che assorbe in maniera maggioritaria dirigenti, amministratori e iscritti del Pd di quel determinato Comune. Siena, invece, fa eccezione. A due anni dalle elezioni comunali [2018, ndr] e, soprattutto, a un anno dal congresso che determinerà gli assetti politici in città, la campagna referendaria in città induce qualche riflessione.

Vediamo le “fila” dunque. In primo luogo il Comitato del Pd “Un Sì per le Riforme” guidato dal consigliere comunale Simone Vigni con il Sindaco, alcuni assessori, la maggioranza dei consiglieri comunali e dei segretari di circolo, nonché il deputato Luigi Dallai. Un Comitato che parla al partito organizzato, quel poco o tanto che è rimasto. La scelta del coordinatore è chiarissima, una scelta di partito e di maggioranza. Insomma, seppure solo in nuce, appare come uno dei due schieramenti pronti ad esprimere il prossimo segretario comunale e un candidato sindaco per il 2018.

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Comitato “Sì Siena” di Stefano Scaramelli

Ci sono poi i 25 coordinatori di “SI Siena” messi in campo dal consigliere regionale Stefano Scaramelli. Qui l’operazione è decisamente di segno diverso. Perché questi comitati parlano alla città, ci sono esponenti del Pd, sia del presente che del passato, ma anche molti senesi che hanno sostenuto Scaramelli alle scorse regionali e che a livello comunale, almeno fino ad oggi, non hanno votato il centro-sinistra.

Se l’operazione fosse stata voluta e concertata, sarebbe un capolavoro politico. A due anni dalle comunali, il centro-sinistra a guida Pd si mette in campo rassicurando il suo interno e tentando di coprire una parte consistente dell’elettorato cittadino. Le elezioni si vincono per tempo. Non scordiamoci cosa ci dice l’esperienza. L’unico serio competitor del centrosinistra a livello senese è stato Pierluigi Piccini nel 2006 che si era preparato meticolosamente per due anni prima di scendere in campo e sfiorare il 30%, costringendo i DS di allora a costruire un’alleanza vastissima e ad una difficile rincorsa (non considero le ultime elezioni che si sono svolte in un contesto troppo particolare).

Probabilmente, invece, tutto ciò è il frutto delle divisioni interne al Pd della città, che misura le forze in vista del congresso e della scelta dei candidati a sindaco. Sia chiaro che un Pd siffatto rischia di non essere utile alla città perché, a livello regionale e nazionale, sarebbe preferibile che la forza di maggioranza relativa parlasse con una voce unica e autorevole. Ma anche così, non è detto che cambierebbe il risultato: Pd vincente su un’opposizione politicamente incapace e disorganizzata.

Sì, perché dall’opposizione non giunge alcun tipo di segnale. Il candidato sindaco del 2013, sconfitto di poco e solo al ballottaggio, si è dimesso dal Consiglio Comunale per motivi francamente inspiegabili. Vi è una violenta campagna di delegittimazione nei confronti di Bruno Valentini sia in consiglio che sui social che, alla fine, pone anche seri dubbi sul “pulpito” dal quale proviene la predica. Cadute di stile a livello nazionale come quella della Lega con Selvaggia Lucarelli. E poi la scarsa incisività e credibilità del M5S che non pare trovare figure riconoscibili a livello cittadino. Insomma, per ora, il nulla disorganizzato. Le cose, naturalmente, possono cambiare da un momento all’altro, basta poco, magari un candidato sindaco di carattere civico che piaccia alla città che voglia di cambiare ne ha e ne avrebbe. Ma un’operazione del genere ha bisogno di una guida autorevole e di coinvolgere anche un pezzo di elettorato di sinistra. E, al momento, non si intravede chi può farsene carico.

Per ora, comunque, si va avanti così: il Pd in campo che “fa le fila” e l’opposizione in palco che sta a guardare e riprende tutto con i telefonini, anche se non si può fare…