A Siena come in Toscana, in verità, da tempo nessuno riesce più a mettere d’accordo le tante anime del Partito Democratico. Esaurita la spinta della rottamazione renziana sotto la quale tutti avevano trovato rifugio, oggi è un fiorire di posizioni, distinguo, dichiarazioni. Il segretario regionale, Dario Parrini, sembra non riuscire più a controllare i tanti leader del partito nelle città toscane. Siena non fa eccezione, anzi qui tutto sembra aggravato da una crisi di leadership che viene da lontano e affonda le sue radici nel 2012 quando si arrivò alla spaccatura tra ceccuziani e monaciani che portò alla caduta dello stesso sindaco Ceccuzzi. Da allora è stata solo una guerra, più o meno pubblica, ma guerra. Il redde rationem pare diventato così il congresso provinciale e comunale di Siena che si svolgerà a breve. In ballo le poltrone (scomode) di segretario provinciale e dell’unione comunale della città capoluogo. E all’indomani della presentazione delle candidature già volano stracci, minacce di ricorsi e carte bollate (oggi La Nazione titola “Quelle firme raccolte in bianco”). E c’è chi segnala addirittura come molti candidati non abbiano nemmeno presentato “il documento programmatico”, richiesto da statuto. Come a dire “sì, mi candido, ma non ho nessun programma da offrire agli iscritti”. Per provare a capirci qualcosa ospitiamo un’intervista a Massimo Bernazzi, uno dei candidati alla segreteria provinciale del Partito Democratico di Siena (M.T.).
Lei è candidato per l’area renziana, cui ha sempre aderito dal primo momento, senza tentennamenti. Sarà per questo che il suo nome è uscito quando la delegazione senese è tornata da Roma dal tentativo di Luca Lotti di ricomporre la frattura? Ma lei cosa si aspetta da un partito così diviso?
«Non c’è stata nessuna riunione a Roma, glielo assicuro, ma un semplice incontro in città fra un delegato di Luca Lotti e alcuni esponenti del Pd che non sono quelli che mi hanno proposto la candidatura e che, mi pare, fra l’altro, non abbia sortito nessun effetto. Comunque se il Pd propone un solo candidato è bulgaro, se ne propone diversi è a brandelli, se fa primarie è in stato confusionale, basta mettersi d’accordo su cosa significa democrazia politica. Se altre forze hanno regole, una vita interna e processi decisionali migliori dei nostri ne proporrò l’adozione. Spero che nessuno ci proponga la buffonata pentastellata o il cesarismo di Forza Italia. Io preferisco avere a che fare con le diversità che si manifestano alla luce del sole e non con i patteggiamenti al caminetto».
Ha ancora senso parlare di un partito organizzato sul piano provinciale, dopo che proprio il governo di Matteo Renzi ha ritenuto superata la dimensione provinciale, anche se il risultato del referendum del dicembre scorso ne ha congelato le coseguenze?
«Il riferimento territoriale è ancora così definito e non ne vedo al momento uno diverso, d’altra parte il partito provinciale ha un ruolo di indirizzo delle politiche su questa scala, il compito deve essere quello di valorizzare al più alto grado il ruolo dei circoli del Pd, io li ascolterò e non a campione ma, se riesco, uno per uno. Quanto alla Provincia come ente territoriale dobbiamo assolutamente venir fuori dall’immane pasticcio che si è generato e che affligge incolpevolmente tutti i collaboratori dell’ente, le loro famiglie,oltre a sacrificare gravemente bisogni che prima egregianente soddisfatti».
Rispetto a tanti nomi e volti nuovi della politica, in particolare dell’area renziana, il suo è un curriculum già molto ricco anche di incarichi politici (tra tutti sindaco di Monteroni dal 1982 al 1986). Per dato anagrafico lei avrebbe dovuto essere “rottamato” dalla politica, invece è di nuovo in campo. Può spiegarlo?
«Perchè? Anche a vista sembro da rottamare? Mi è chiaro che può sembrare un’autodifesa ma sono convinto che lo slogan di Matteo Renzi non aveva un senso anagrafico: in politica dobbiamo vincere ideologie ossificate, impermeabilità alle riforme, vincere l’ostinazione con cui si conservano ruoli e in questo senso a me pare che il lavoro è tutto da compiere. Ho il mio profilo e il mio bagaglio di esperienze, la mia idea è quella di una forza politica tranquilla, solida, affidabile che fa tesoro della diversità di opinioni, cerca tenacemente di portarle a sintesi, fa crescere nuovi gruppi dirigenti e concretizza progetti. Forse quanti mi hanno proposto la candidatura hanno pensato che il mio profilo fosse quello giusto, se tocca a me cercherò di non deludere il partito e le diversità che lo caratterizzano».
La politica dei partiti sembra più interessata a confronti e scontri interni che a dare risposte ai problemi dei cittadini. Può dire 3 o 4 punti sui quali il Pd in provincia di Siena con la sua direzione proverà ad essere punto di riferimento per una nuova visione di società profondamente mutata in questi anni?
«Verissimo, ci piace mirare il nostro ombelico, navigare verso un orizzonte basso. Ovvio che guardo in casa mia e dunque sono insoddisfatto del tenore e dei contenuti del nostro dibattito, “prova ad alzare l’asticella del confronto” mi è stato autorevolmente proposto, ci proverò, senza presunzione e non in solitudine. In ordine: priorità al lavoro e precedenza assoluta alle nuove generazioni che troppo hanno patito e patiscono la crisi, rimuovere gli ostacoli burocratici e fiscali che frenano la crescita, la più elevata attenzione ai disagi sociali, al livello, alla qualità e all’efficienza dell’offerta sanitaria, alla riorganizzazione anche territoriale degli enti locali ma senza nessuna forzatura, su base consensuale e con logica razionale, eppoi infrastrutture stradali e ferroviarie, ambiente con la regimazione delle acque per mettere in sicurezza le nostre popolazioni più esposte al rischio, valorizzazione dei nostri pregiati prodotti agricoli. I punti strategici della nostra città erano e rimangono la banca e la Fondazione, l’Università, il grande policlinico, attorno a questi in crisi anche molto seria per le note ragioni dobbiamo riorganizzare idee e progetti».
Un tema caldo è quello delle fusioni tra i Comuni. Da poco a Torrita una manifestazione di “Orgoglio Comune” ha visto in tanti scendere in piazza per dire No alla fusione a freddo con Montepulciano. Il Pd su questo tema è oscillante. Lei cosa ne pensa?
«Garibaldi in fuga dalle sue incursioni romane trovò nella Chiana comuni forti e strutturati da lunghissimi anni di consolidamento, di orgoglio e di fiera difesa delle loro autonomie anche contro il Granduca, pensare di superare con editti queste stratificazioni ormai secolari è velleitario e non può che produrre guasti. Si pone senza dubbio una questione sul lato dei costi della pubblica amministrazione e su quello di un efficiente uso di risorse scarse ma il mio modello è quello adottato da San Giovanni d’Asso e Montalcino: ragione, dialogo, motivazioni, logica, valorizzazione delle rispettive risorse, consenso delle popolazioni, niente strappi».
Veniamo a Siena e alla prossima scadenza amministrativa. Intanto che giudizio dà dell’operato di Bruno Valentini e della sua giunta e poi come pensa di ricomporre in città una frattura che pare insanabile tra le tante anime Pd?
«Valentini ha dovuto sedersi, anche col mio sostegno, sopra un bel mucchio di problemi finanziari che ha condotto a buona soluzione in mezzo a serie resistenze: se non hai conti a posto con la disciplina che oggi presiede alla spesa comunale puoi avere nei cassetti tutti i bei progetti che vuoi ma resteranno il libro dei sogni come diceva Ugo La Malfa. Se toccherà a me, ascolterò insieme al partito cittadino e ai suoi circoli, gli attuali amministratori e i consiglieri, le rappresentanze e le forze della città, cercheremo di capire gli umori e il grado di consenso per poi definire le possibili soluzioni e cogliere il sentire dei senesi. Il Pd in città e non solo in città deve allargarsi ed aprirsi verso le forze della sinistra e democratiche, la società organizzata, i diversi soggetti che si manifesteranno disponibili a costruire il futuro dei prossimi cinque anni».
Ieri è sceso in campo l’avvocato De Mossi (leggi qui). Che giudizio dà degli avversari del Pd al momento in campo che parlano del partito come del soggetto da battere? E cosa ne pensa del civismo cui tutti sembrano guardare con speranza?
«Nessuno riuscirà a farmi dir male dell’avvocato De Mossi. Ci siamo conosciuti e apprezzati con Luigi nel cda dell’aeroporto di Ampugnano, quando presidente era Fausto Carignani, a volare erano gli aerei verso gli scali lombardi o sardi e non le chiacchiere, i progetti alberghieri e le carte bollate. Al canape avremo un avversario assai impegnativo, dunque dobbiamo pensare bene la nostra “posizione” in Piazza e le nostre alleanze. Non sono innamorato della categoria “forze civiche” e mal sopporto il tartufismo, tutti noi siamo “civici”, o no? Una comunità ha portatori di interessi positivi in tanti luoghi e punti, penso che non dobbiamo in nessun modo esser, come si dice? “autoreferenziali”, nessuno è autosufficiente, non siamo una monade, aiutare la città a ridefinire se stessa significa non trascurare nessuna volontà e nessuna energia».