LIVORNO – Quasi 4500 tonnellate di conserva di pomodori in bottiglia, barattoli e brick messi sotto sequestro di cui 1000 tonnellate di prodotto proveniente da paesi extra UE e per un valore commerciale di almeno 3 milioni di euro. Sei persone denunciate per frode in commercio.
Sono i numeri dell’Operazione Scarlatto che ha portato nei giorni scorsi al sequestro preventivo all’interno dello stabilimento Italian Food del gruppo Petti di Venturina (Livorno).
Ma il numero che oggi sfugge alle indagini ma preoccupa di più è quello dei dipendenti: 130 quelli fissi senza considerare l’indotto delle aziende agricole circostanti. Su questi addetti, sul loro posto di lavoro e sulle loro famiglie oggi pende la spada di Damocle dell’inchiesta.
A rischio l’intera filiera del pomodoro maremmano
“La frode che ha riguardato l’azienda Petti è il chiaro segnale che il pomodoro maremmano deve essere valorizzato ancora di più di quanto non sia stato fatto fino ad oggi”. Così Marco Neri, presidente di Confagricoltura Toscana, sulla vicenda. “Se confermato dalla indagini, il comportamento dell’azienda è assolutamente da stigmatizzare e mette ancora più in evidenza come l’aumento della domanda di questo prodotto renda necessaria una maggiore valorizzazione, anche economica, del pomodoro maremmano. Il consumatore deve scegliere non solo in funzione del prezzo, ma della qualità. Se ci fosse una minore marginalità sulla distribuzione e commercializzazione forse riusciremo a tutelarlo ancora di più”.
In Toscana sono coltivati a pomodoro circa 2000 ettari, il 50% dei quali in Maremma ed il resto tra le province di Livorno e Pisa e il Mugello. Per coltivarlo in provincia di Grosseto si spendono mediamente dai 5 ai 7mila euro per ettaro, con una resa di 850 quintali. “Se lo si pagasse, come avveniva nel 2017, 82 euro alla tonnellata, non sarebbe più conveniente la sua coltivazione. Con l’avvento di Petti, vi è stata una crescita del prezzo all’origine fino ai 105-120 euro e dunque ad una redditività più elevata, ma ancora non sufficiente a garantire i margini giusti per gli agricoltori. Spero – conclude Neri – che ipotesi di reato come quelle contestate alla azienda livornese non frenino e non pregiudichino in qualche modo la trasformazione toscana, perché si rischierebbe di interrompere una filiera importante per l’economia toscana e la sostenibilità economica e ambientale”.
Preoccupazione per la prossima campagna
Le notizie delle ultime ore, che riguardano l’industria di trasformazione Italian Food di Venturina Terme, stanno suscitando allarme e preoccupazione, tra i produttori agricoli, per lo svolgimento della prossima campagna del pomodoro da industria.
Senza ovviamente entrare nel merito dell’indagine e dei provvedimenti già adottati dalle autorità competenti, Cia Agricoltori Italiani della Toscana evidenzia come i trapianti, iniziati dopo le festività pasquali, stanno procedendo normalmente, fatta eccezione per un leggero ritardo, dovuto all’abbassamento delle temperature della prima decade di aprile.
La coltura del pomodoro da industria ha necessità di programmazione, che parte già con la fine della precedente campagna, per la individuazione dei terreni, l’acquisto delle piantine. Non si possono modificare gli ordinamenti colturali dalla sera alla mattina.
Le preoccupazioni sono ovviamente legate alla collocazione della produzione, circa 1.000 ettari destinati all’impianto di Venturina Terme, oltre a tutte le altre zone toscane vocate per la coltivazione del pomodoro da industria, in provincia di Grosseto e nella Valdichiana Senese e Aretina.
Il pomodoro da industria è una parte importante della storia produttiva di questo territorio, una coltura che interessa prevalentemente le province di Livorno e Grosseto, ma con presenze significative anche in altre aree della regione, con riflessi importanti sull’indotto e sull’occupazione per l’area della Val di Cornia.
Le contestazioni mosse, dalle autorità, da quanto si legge, riguardano aspetti, sia di carattere ambientale che commerciale e questo, senza voler dare giudizi su argomenti non conosciuti, contribuisce ad aumentare il timore della componente produttiva, conclude Cia Toscana.