«Ciuffi di Santa Rosa, accapezzate il ciuffo», «Semo tutti d’un sentimento?», «Facchini di Santa Rosa, sotto col ciuffo e fermi…Sollevate e fermi» «Per Santa Rosa, avanti!…Posate piano, adagio…». Sono parole che ai più possono suonare ormai familiari, sono le parole che il capo facchino della Macchina di Santa Rosa ha pronunciato anche ieri a Viterbo come accade ormai dal 1258 anno della traslazione della Santa patrona dalla Chiesa di S. Maria in Poggio al Santuario a lei dedicato. I tempi della festa, della processione in cui la fatica umana si sublima nel massimo sforzo di elevare gli animi al cielo. Quel cielo scuro, quasi nero che nel percorso di oltre un chilometro viene illuminato solo dalla Macchina che oggi assume la forma di una torre animata da fiaccole e luci. Circa trenta metri di altezza per un perso di 51 quintali che culmina con la statua della Santa. La sera del 3 settembre di ogni anno, a Viterbo, la macchina viene sollevata e portata in processione a spalle da un centinaio di uomini i “Facchini di Santa Rosa” tra le vie, talvolta molto strette e le piazze del centro cittadino. Fino all’ultimo tratto tutto in salita che, nel massimo sforzo, viene effettuato quasi a passo di corsa, con l’aiuto di corde in aggiunta e di travi dette “leve” che spingono la Macchina posteriormente. L’ultimo sforzo prima che la Macchina con la Santa venga messa a “riposare” davanti al Santuario dove rimane in adorazione per alcuni giorni.

Il rituale Un rituale a cui ogni anno prendono parte migliaia di persone e ospiti come il giornalista Pierluigi Battista e la showgirl Antonella Elia. Fin dal pomeriggio i Facchini, vestiti nella tradizionale divisa bianca con fascia rossa alla vita (il bianco simboleggia la purezza di spirito della patrona, il rosso i cardinali che nel 1258 traslarono il suo corpo), si recano in Comune dove ricevono i saluti delle autorità cittadine, poi vanno in visita a sette chiese del centro, infine in ritiro al convento dei Cappuccini, dove il capofacchino impartisce loro le ultime indicazioni sul trasporto. Verso le ore 20, preceduti da una banda musicale che intona il loro inno (intitolato Quella sera del 3), partendo dal Santuario di Santa Rosa percorrono a ritroso il tragitto della Macchina, acclamati dalla folla, fino a raggiungere la Chiesa di S. Sisto accanto alla “mossa”. Qui viene impartita loro dal vescovo la cosiddetta benedizione “in articulo mortis”, che prende in considerazione eventuali incidenti e pericoli. E poi si parte. Una festa che negli anni si è saputa imporre all’attenzione del grande pubblico e che è rientrata nella rete delle grandi macchine a spalla italiane. Dal 2013 è stata inserita nel Patrimonio orale e immateriale dell’Umanità Unesco.

Foto Enzo Russo