Nella scultorea bellezza della lingua latina, quella frase ha indubbiamente scalfito le pietre che a fatica vanno fondando il nuovo millennio. “Conscientia mea iterum explorata … ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum”. A pronunciarla era il papa che, dinanzi alla sua coscienza e a Dio, stava giustappunto rassegnando le dimissioni perché la vecchiaia non gli avrebbe consentito l’energia richiesta dal gravoso ministero. E’ così che il tradizionalista Benedetto XVI ha compiuto il gesto più rivoluzionario che un papa potesse compiere e che ciascuno di noi, sulla scorta delle proprie sensibilità, cultura, credenze, ha provato a spiegarsi. Sorprendente, innanzitutto, come all’ineccepibile curriculum ecclesiastico di Joseph Ratzinger debba ora ascriversi una scelta tanto ‘anti-istituzionale’ e che risulta addirittura profetica. Contiene, infatti, il messaggio che il servizio petrino non è un primato di onore e di giurisdizione, ma un primato pastorale. Se ciò viene meno, decade anche la ragion d’essere della chiesa. Da questo punto di vista papa Ratzinger ha dato una lezione che vale un’enciclica, soprattutto in un momento nel quale la chiesa gerarchica è persa in faide curiali, intrallazzi finanziari, terribili scandali. Il cuore di Benedetto XVI (per quanto aiutato da un peacemaker) non regge più lo scempio. Ma si ha anche l’impressione che in quel sofferto scandaglio di una “conscientia iterum explorata”, il papa (la sua intelligenza, capacità intellettuale, fede) abbia rilevato, non di meno, l’abissale distanza che separa il mondo dal cristianesimo e, quindi, l’inadeguatezza della stessa chiesa dinanzi a un siffatto problema. Esiste ormai un’umanità che non può dirsi nemmeno anti-religiosa, ma – culturalmente – post-religiosa. E’ da qualche decennio che l’annuncio del Vangelo non può contare sulla coesione ideologica, politica, culturale e spirituale di un mondo che, comunque, era solo una parte di mondo, quello occidentale. Dinanzi alla crisi della modernità, la chiesa non riesce a trovare le modalità del suo annuncio. Si è inesorabilmente consumata la dissociazione tra cristianesimo e una antropologia che sul cristianesimo era stata plasmata. La vecchiaia e la fragilità di Joseph Ratzinger porta con sé questa consapevolezza e il patimento che ne deriva. E’ la crisi della chiesa, ma, per certi aspetti, pure dell’intero Occidente; di un’epoca, anch’essa invecchiata, che oggi va a rifugiarsi nel cuore affaticato di un ottantaseienne uomo di Dio: fermo nella fede, affranto nel vederla negata dai suoi stessi ministri. Quando egli deporrà le vesti pontificali, quel gesto starà a significare che il “primato di Pietro” non è a servizio della religione, ma della fede. La chiesa non vive in funzione di se stessa e della propria potenza. E’ provvisoria, fragile, persino attraversata dal dubbio. Non è un’istituzione, ma un ‘evento’ che continuamente accade tra la storia e una dimensione ‘altra’.