Che tu sei qui – che la vita esiste, e l’identitità,
che il potetente spettacolo continua,
e tu puoi contribuire con un verso
Sono versi del grande Walt Whitman e mi sembrano perfetti per esprimere le emozioni che mi ha prodotto la lettura di “Tra i castagni dell’Appennino” (Utet), conversazione, anzi, conversazioni tra un antropologo come Marco Aime e un uomo che non ha bisogno di presentazioni come Francesco Guccini.
Libro che ho acquistato senza saperne niente. Di più: che ho acquistato avendo preso fischi per fiaschi, convinto che fosse un libro che parlava della mia montagna. In realtà è di Francesco Guccini che si parla. E quindi anche dellla montagna, vista da quell’angolo che è Pavana, sull’Appennino tosco-emiliano. Ma parlando di Guccini, è ovvio, è di infinite altre cose, che viene naturale parlare. Di montagne ma anche di pianure, di canzoni da disco e da osteria, di emigranti e di compagni di briscola. Di piccole città, bastardi posti, e di città come Costantinopoli, dove l’Oriente si mescola all’Occidente. Di notti che dal vino sono bagnate e di partenze. E ovviamente anche di eskimi innocenti, di incontri lungo le scale, di amici che non son razza padrona, di locomotive a bomba contro l’ingiustizia…
No, nemmeno un libro sulla storia di un artista, sarebbe riduttivo. Con un intervistatore come Aime, poi, che a lungo dev’essersi intrattenuto in quel di Pavana, dopo averla raggiunta con la corriera.
Piuttosto un libro con tanta poesia, un libro sul tempo che passa e che confonde, che separa e rovescia nostalgia, ma a volte sa donare anche buone ragioni e una strana pace.
Da leggere. Consigliato anche a chi – ma lo voglio vedere – di Guccini non ha mai ascoltato proprio niente.