Valentino Rossi, “Il dottore”, è probabilmente uno dei pochissimi campioni “universali” che ci sono rimasti. Star a livello internazionale, dico. Gli altri due sono la Pellegrini e, forse, Nibali. Per fama ci sarebbe Balotelli, che però è più personaggio che campione; e anche le ragazze del fioretto, ma la scherma è sport fin troppo elitario e non va mai in copertina.
Sono tifoso di Rossi da quasi vent’anni. Da quando, nemmeno maggiorenne, stracciò tutti nel campionato delle 125 e iniziò una carriera che ha pochi emuli nella storia del motociclismo. Ci innamorammo subito di quel suo tratto sbarazzino e un po’ irriverente; tipico dell’Italiano che si fa voler bene: guascone e simpatico, vincente ma con leggerezza. Ieri, “Il Dottore” ha compiuto un capolavoro vincendo il grand prix di casa sua, a Misano Adriatico. Chi c’era, parla di scene da autentico delirio. Ha lottato da leone, e la sua classe è venuta fuori per la centosettesima volta, mettendo in fila tutti i campionissimi spagnoli. Anche Marc Marquez ha alzato bandiera bianca, e si è inchinato… Io credo che, sotto sotto, non gli sia nemmeno dispiaciuto. Marquez si avvia a vincere il mondiale con una specie di “no-contest”, ma è abbastanza intelligente da capire che alla lunga il giochino potrebbe stufare. E gli conviene far capire al mondo che sta battendo rivali agguerriti, non dei rassegnati dopolavoristi che portano a spasso una motocicletta. Però Marquez è stato sincero quando ha dichiarato: «Ho visto Rossi e gli altri dare vita al duello finale… Io non c’ero, e non sapete quanto mi è dispiaciuto…». Gli credo. Sulla parola. Perché a me i motori non piacciono, ma se c’è una cosa che me li fa trovare avvincenti è la qualità dei suoi protagonisti. Cosa che non trovo quasi più nel football, per esempio.
I piloti come Marquez sono poco più che adolescenti, ma capisci a un miglio di distanza che hanno una passione dentro che i calciatori non hanno più: derapano, staccano alla morte, sorpassano a 280 all’ora, rischiano l’osso del collo e quando fanno cadute pazzesche, il primo pensiero è quello di risalire in sella e tornare in gara…. Ci sono piloti che non c’è verso di appiedarli neanche di fronte ad una frattura multipla, una gamba ingessata o un trauma cranico. Li vedo sportivi. Nel vero senso del termine. Nel senso del competere, del migliorarsi, del fare qualcosa non solo perché si è (profumatamente) pagati, ma perché la velocità è la loro stessa vita. E’ qualcosa di irresistibile e di irrinunciabile. Non ce lo vedo, insomma, un Marc Marquez andare a correre nella scuderia di uno Sceicco per guadagnare due lire in più. Lo vedo incacchiato nero se finisce secondo e sempre sul pezzo per limare centesimi di secondo, per migliorarsi, e per tagliare il traguardo per primo. Lo capisci, per esempio, quando ascolti il commento di Loris Capirossi, un quarantenne che ha corso fino l’altro ieri e che probabilmente ha un conto in banca tale da poter mettere in sicurezza almeno quattro o cinque generazioni di Capirossi. Eppure, quando la battaglia infuria e i piloti ci danno dentro con sorpassi da brivido e staccate alla morte, eccolo che prende fuoco… E garantito che sta spasimando perché vorrebbe essere lì, in pista. In barba all’età e al conto in banca. Per me, lo sport è questa roba qui. E finchè avrò questa impressione, continuerò a guardare il motomondiale. Per adesso, complimenti a Valentino.