Delegazione di sappadini giunti ad Arezzo
Delegazione di sappadini giunti ad Arezzo
Delegazione di sappadini giunti ad Arezzo

Ad Arezzo per un viaggio simbolico che onora una vecchia fratellanza. Per questo una delegazione del comune di Sappada – Plodn nel dialetto tedesco sappadino, Sapade in friulano, Sapada in ladino, Pladen in tedesco –  folkloristico paesino con poco più di 1.300 abitanti in provincia di Belluno, è arrivata in città.

Profughi scappati in toscana

Storia di un’amicizia Lo spirito di questa visita è da collegare alle vicende della prima guerra mondiale che unirono a doppio filo le due città e i loro abitanti. All’epoca Sappada, a causa del vicino confine, partecipava attivamente al conflitto, rifornendo costantemente gli alpini che si trovavano in quei luoghi. Si narrano ancora le gesta eroiche di quegli abitanti che nella primavera del 1916 riuscirono addirittura a trascinare a braccia due cannoni fino ai laghi d’Olbe. Dopo la  rotta di Caporetto, il fronte fu abbandonato in una precipitosa ritirata: per Sappada tutto cambiò e venne in fretta evacuata. Più di 800 profughi furono riuniti ad Arezzo, qui furono accolti e addirittura trovò sede provvisoria il municipio di Sappada, finché gli stessi sappadini poterono tornare nella loro vallata il 22 marzo del 1919. Nei due anni in cui vissero ad Arezzo i sappadini contribuirono a scrivere un pezzo di storia della città toscana: «Il municipio sappadino venne collocato in via Bicchieraia 1 –  racconta chi ha avuto il compito di ricostruire le vicende -. L’impegno del Prefetto del tempo permise il ricongiungimento di molte famiglie sappadine che nel lungo trasferimento ferroviario si erano inevitabilmente scomposte. In questo lavoro la Prefettura venne aiutata dalla maestra Maria Cratter che riuscì a rintracciare anche un bambino la cui famiglia era finita profuga in provincia di Genova. Per vivere, il governo stanziò per ogni sappadino 1,25 lire se singolo e 2 lire se era sposato. Ma la storia narra anche che i sappadini qui ad Arezzo non restarono con le mani in mano, impegnandosi in ogni lavoro utile alla comunità. Si costituì un comitato e nell’estate 1918 la febbre spagnola non risparmiò, purtroppo, neppure questi profughi. Ne morirono 72. Intanto a Sappada, durante il periodo difficile dell’occupazione austro-ungarica erano comunque rimasti 327 sopravvissuti e questo incentivò il ritorno a casa degli sfollati di Arezzo».

Il racconto Don Alvaro, il parroco della cattedrale di Arezzo che ha contribuito al ricongiungimento simbolico dei due paesi, racconta: «Conserviamo copie degli atti di battesimo di sappadini nella Pieve di Santa Maria. Dunque, accanto a ricordi tragici legati al conflitto, è importante ricordare come la presenza dei profughi sia stata anche accompagnata da bei momenti. Siamo dinanzi a una pagina di storia aretina che torna a galla dopo 100 anni». La Grande Guerra fu anche questo, storie di italiani che si affratellarono per sempre.