La cultura non solo non dà da mangiare, come ebbe a dire con una sua celebre battuta l’allora ministro delle finanze Giulio Tremonti, ma in tempi di crisi rischia di diventare anche motivo di battaglie ideologiche e polemiche che rischiano di non portare da nessuna parte. Anzi di farci andare tutti contro un vicolo cieco.
Si sa che questo 2014 per Siena sarà un anno importante, anno spartiacque che può segnare l’inizio di una nuova strada grazie alla candidatura a Capitale europea della cultura nel 2019. Una sfida che sta vedendo tutti uniti, con un progetto di valorizzazione ancora da scoprire nel suo complesso.
Nel bel mezzo di questa giusta euforia ecco il sasso nello stagno lanciato da un intellettuale scomodo come Tomaso Montanari, storico dell’arte e scrittore. Dalle colonne de Il Fatto quotidiano ha lanciato l’allarme: il Santa Maria della Scala rischia di diventare un grande supermercato alle dipendenze del patron di Eataly, il renziano Oscar Farinetti. Immediata la replica del sindaco Bruno Valentini e del responsabile della candidatura Siena 2019 Pier Luigi Sacco: ma quale supermercato, Il Santa Maria sarà il cuore pulsante della futura città, ospiterà la Pinacoteca e sarà centro di documentazione e ricerca, e naturalmente anche di cultura attiva.
Da un certo punto di vista sarebbe interessante poter dire che un dibattito sul SMS è finalmente iniziato e qualcosa si muove. Del resto iniziò più o meno così anche nel 1968 quando Cesare Brandi sulle colonne de Il Corriere della Sera disse basta al Santa Maria come ospedale chiedendo di trasformarlo in museo di se stesso (Ricordate? «Questa indecenza deve finire. Il Pellegrinaio si deve vedere, come un museo, perché un museo è, la Sagrestia si deve vedere come un museo, perché museo è. Neanche un giorno di più devono restare i malati nel Pellegrinaio. Lo scandalo è nazionale»). Da allora sono passati diversi lustri, si è parlato del grande Santa Maria e poi si è messo mano a grandi lavori, oggi purtroppo interrotti. Ma un vero dibattito non c’è mai stato, soprattutto sul piano nazionale. Potrebbe essere questa l’occasione per dare al tema la giusta eco. Partendo dal ruolo dell’antico complesso nel contesto cittadino si potrebbe ad esempio avviare un ragionamento più articolato sulla vastità del nostro patrimonio artistico e monumentale che, in tempi di crisi, rischia il bivio tra deperimento per assenza di risorse o privatizzazione forzosa.
È questo il momento giusto per accendere sulla città e sulle sue giuste aspirazioni di rinascita le luci di un confronto che vede su sponde diverse intellettuali e artisti, storici dell’arte e amministratori pubblici. Quale ruolo può avere oggi la cultura nello sviluppo economico del Paese? La si può veramente considerare “petrolio” della nostra economia oppure a noi spetta solo la conservazione per permetterne la fruizione a fini di educazione e innalzamento culturale e morale del popolo? E quale il limite ad un eventuale sfruttamento del ricco patrimonio culturale e artistico che attrae da tutto il mondo l’interesse, anche economico, di molti? Gli esempi, a partire dalle esperienze del Colosseo a Roma o degli scavi di Ercolano, non dovrebbero mancare.
Nessuno oggi ha la soluzione a problemi così complessi (che non sono solo gestionali, sia inteso), così come non poteva essere per il Santa Maria una soluzione definitiva la proposta, di pochi anni fa, di una improbabile fondazione sullo stesso modello di altre già sperimentate con scarsi risultati una volta prosciugate le risorse del Monte dei Paschi.
Non si spenga allora il dibattito in città e fuori (perché Siena è e deve continuare ad essere patrimonio di tutti, proprio se vuole essere capitale di cultura) e si discuta di quale destino deve avere l’antico Spedale della Scala. E non si sprechi l’occasione che si è parata di fronte di diventare protagonisti del dibattito che deve essere nazionale. Non è certo chiudendosi nel proprio guscio che si può aspirare a ricoprire ruoli da protagonisti in Italia e in Europa, né accusando chi la pensa diversamente da noi si fa un buon servizio alla comunità che dall’incontro con altre idee e dal confronto può cominciare a ritrovare se stessa. A fare da modello per gli altri e a scoprirsi, magari, capitale di cultura.
Ah, s’io fosse fuoco