FIRENZE – In questi giorni sono stati pubblicati numerosi dati che portano linfa al mainstream sanitario toscano. La griglia LEA 2019 pone la Regione Toscana al secondo posto dopo il Veneto, posizione mantenuta anche nel calcolo cumulativo 2010-2019 (questa volta dopo Emilia-Romagna, fonte Fondazione Gimbe).

Secondo il Nuovo Sistema di Garanzia, introdotto in via sperimentale da questo anno, il Sistema sanitario regionale sarebbe al terzo posto e comunque sempre nella triade d’oro della Sanità nazionale composta da Emilia-Romagna, Veneto e, appunto, Toscana. Anche per quanto riguarda il governo delle liste di attesa le notizie sono incoraggianti, con recupero delle prestazioni perse durante la pandemia pressoché completo a fronte di una committenza sul privato convenzionato di “solo” il 20% (media nazionale 29%).

“Eppure, dal punto di vista dei cittadini qualcosa non torna. L’attesa per ottenere appuntamenti per esami diagnostici, spesso offerti dal sistema in sedi distanti centinaia di chilometri (da Massa ad Abbadia San Salvatore, fino all’Elba), accessi al pronto soccorso lunghi giornate intere, territori sguarniti di risposte di primo intervento, non sembrano congrui con quanto le fanfare regionali annunciano trionfanti. Rispetto a queste, cosa devono pensare i comuni cittadini se non che il vulnus stia nei soliti fannulloni: se il sistema funziona sui giornali ma non per me, per i miei familiari, per il mio vicino di casa, allora ci deve essere da qualche parte qualcuno col camice che non è efficiente, che non lavora quanto dovrebbe” sottolinea Francesco Carbone, segretario amministrativo Anaao Toscana, dopo i dati sulla sanità regionale usciti in questi giorni.

“I professionisti, al contrario, sanno che quei numeri sono “sostenibili” grazie alla insostenibile richiesta di carichi di lavoro, a fronte di una altrettanto insostenibile carenza di qualità del lavoro. Per mantenere i livelli LEA a fronte di una oggettiva fuga dei professionisti da certe discipline (Emergenza-Urgenza, fra tutte) e da certe aree geografiche considerate disagiate si ricorre al modello organizzativo più elementare e politicamente vantaggioso: tutto aperto dappertutto sempre, a prescindere dalle risorse tecnologiche e umane disponibili” aggiunge ancora Carbone.

“Si appalta al privato convenzionato l’attività in elezione e si tiene nel Sistema tutto quanto determina disagio lavorativo (notti, festivi) e professionale (sedi con casistiche a bassa complessità, ad esempio). Il tutto confezionato con retribuzioni al di sotto della media nazionale, orario di lavoro accumulato e perso ed elevata richiesta di attività burocratiche, a fronte di una percentuale di personale amministrativo nel Sistema che sfiora il 10%.

Le proposte sul tavolo ci sono e possono riassumersi in appropriatezza clinica, sburocratizzazione, incentivazione. Certo, per fare queste cose ci vuole visione e investimenti. Ma stiamo parlando di un diritto, quello alla salute, rispetto al quale è tempo di chiarezza e verità. Difendere il sistema sanitario pubblico, non può essere solo uno slogan” conclude Anaao.