Quando in occasione del suo recente tour italiano, Patti Smith intonò in piazza del Campo a Siena i versi “Because the night belongs to lovers” (“Perché la notte appartiene agli amanti”), anche le sussiegose facciate dei palazzi sembrarono cedere all’emozione. La poetessa del rock aveva colpito ancora, ricordando l’esistenza di un rock poetry che – se non altro per la sua portata emotiva – risulta essere poesia. Fu, infatti, mezzo secolo fa, nel fervore culturale degli anni Sessanta, allorché il mondo pareva tutto da inventare, che pure la poesia (che con le rivoluzioni ha cose in comune più di quanto si pensi) divenne bandiera enfia di vento, ideali e tremori. Da parola di rango qual era, non disdegnò le parole ordinarie, le coniugazioni più diverse, come quella con la musica rock. Tra gli artisti che ne esaltarono il connubio, uno su tutti, Jim Morrison, colui che vaticinava: “Se la mia poesia cerca di arrivare a qualcosa, è liberare la gente dai modi limitati in cui vede e sente”. Era facile sentirsi in sintonia con lui, profeta trasgressivo, inquieto e fragile. Sdegnosamente ritirati nelle nostre camerette, lo ascoltavamo cantare con i Doors – bel mix di blues, psichedelia, jazz – e mentre mamma in cucina rigirava il ragù, leggevamo Ferlinghetti, Kerouak, Ginsberg, Rimbaud. Così organizzavamo la nostra rivoluzione, ma soprattutto il nostro diritto a sognare. Morrison riteneva la poesia la sua vera vocazione. La critica (quella letteraria) fu di un altro avviso: gradevoli le sue canzoni; modeste le poesie che tracimavano cultura classica, filosofia, esoterismo, suggestioni beat, psicanalisi. Alcune sono state pubblicate in Italia con il titolo di Tempesta elettrica. Di quei testi, Fernanda Pivano apprezzò le ragioni intime; dell’autore colse la “capacità di estasi”, il suo essere “affranto dalle miserie della vita”. In tema di rock poetry non va trascurata nemmeno la testimonianza artistica di David Bowie, il quale, senza vantarne la pretesa, ha talvolta ottenuto esiti che potrebbero dirsi letterari, grazie alla capacità di saper raffigurare il quotidiano mutuandone l’universo verbale. Indicativi i versi tratti da Black tie white noise: “Prendendo la mia realtà da una pubblicità della Benetton, / guardo cogli occhi d’un africano, / illuminato dal bagliore di un fuoco di Los Angeles”. Ma la vera svolta stilistica si ebbe con Morrissey, soprattutto nei testi scritti per gli Smiths, dove le parole non soffrono di eccessiva dipendenza dalla musica. Hand in glove
resta un efficace esempio di poesia che, pur pensata per una linea melodica, ha una autonoma valenza lirica che Morrissey volle, al contempo, “bruciante” e “giubilante”. Se poi qualcuno avesse legittimi dubbi su quanto tutto ciò possa definirsi Poesia, se la veda direttamente con gli autori. Il già citato Morrison sosteneva che “la vera poesia non dice niente, elenca solo delle possibilità, apre tutte le porte, e voi potete passare per quella che preferite”. Affermazione discutibile, ma molto rock.