La magnifica serie di venti arazzi con Storie di Giuseppe, voluta dal duca Cosimo I de’ Medici e tessuta tra il 1545 e il 1553 su disegno di tre dei maggiori artisti dell’epoca, Agnolo Bronzino, Jacopo Pontormo e Francesco Salviati, torna in esposizione a Firenze nel luogo dove era stata pensata, la Sala dei Duecento di Palazzo Vecchio, l’antica aula consiliare della città. La mostra, visibile fino al 29 agosto 2021, nasce grazie a un accordo tra il Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e il Comune di Firenze. I venti arazzi saranno esposti a rotazione, quattro alla volta nella Sala dei Duecento, che entrerà così a far parte, per i prossimi 3 anni, del percorso museale di Palazzo Vecchio.
I primi quattro arazzi esposti sono: Il sogno dei manipoli; Giuseppe racconta il sogno del sole, della luna e delle stelle; Vendita di Giuseppe; Lamento di Giacobbe. Quando Firenze era capitale del Regno d’Italia, tra il 1865 e il 1871, la serie fu divisa e dieci dei venti arazzi entrarono a fare parte del patrimonio reale, per poi giungere nel Palazzo del Quirinale a Roma e quindi infine passare in dotazione alla Presidenza della Repubblica. Gli altri dieci rimasero a Firenze, di proprietà delle ‘Gallerie’ statali della città, e nel 1872 vennero concessi in deposito al Comune da poco insediatosi in Palazzo Vecchio. Da allora la serie è rimasta divisa tra Roma e Firenze, finché la mostra itinerante “Il Principe dei Sogni. Giuseppe negli arazzi medicei di Pontormo e Bronzino”, organizzata in occasione di Expo 2015, non ha permesso di vederla di nuova riunita, per la prima volta dopo un secolo e mezzo, nel Palazzo del Quirinale a Roma, nel Palazzo Reale a Milano e infine in Palazzo Vecchio, nella stessa sala per la quale fu tessuta. La Sala dei Duecento, sgombrata per l’occasione dai banchi del Consiglio comunale, riproponeva allora l’allestimento spettacolare dei tempi di Cosimo I, progettato per stupire gli ospiti di corte con una successione ininterrotta di preziosi panni istoriati, dalle trame scintillanti, che ricoprivano completamente le pareti del vasto ambiente fino a sei metri di altezza. Terminata la mostra, la sala è tornata a ospitare le riunioni del Consiglio cittadino, ma con nuovi arredi e impianti, appositamente progettati per rendere possibile un’ideale convivenza tra la sua funzione istituzionale, la stessa per la quale fu costruita all’inizio del XIV secolo, e l’esposizione dei monumentali arazzi che in una diversa fase della sua storia ne adornavano sontuosamente le pareti.
L’accordo Grazie a un accordo speciale tra il Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e il Comune di Firenze (il capo di gabinetto del sindaco Manuele Braghero ha seguito l’iter per trovare un modello condiviso che consentisse l’esposizione a rotazione di tutti gli arazzi e coordinato insieme al responsabile delle Belle arti Giorgio Caselli il lavoro dei molti uffici comunali coinvolti) oggi la Sala dei Duecento, nei giorni in cui non ospita le sedute consiliari, entra a fare parte del percorso di visita del palazzo, per consentire al pubblico di ammirare i preziosi arazzi, di nuovo uniti e qui esposti nel più assoluto rispetto delle particolari esigenze conservative di questo genere di manufatti. L’uso antico degli arazzi ne prevedeva l’esposizione solo per feste e cerimonie importanti o in base ai cicli stagionali e tra una sortita e l’altra i panni riposavano al buio nelle Guardarobe delle dimore nobiliari, sotto le cure di maestranze specializzate. Su modello di quelle buone pratiche, nella Sala dei Duecento gli arazzi con Storie di Giuseppe tornano quindi ad essere esposti a rotazione in gruppi di quattro, secondo un programma di sostituzioni semestrali della durata complessiva di trenta mesi. Gli avvicendamenti seguono l’ordine narrativo delle scene. Ogni sei mesi sarà dunque possibile scoprire un nuovo capitolo della storia del patriarca Giuseppe, attraverso la straordinaria maestria dei pittori e tessitori che furono chiamati da Cosimo I a farsi interpreti di quel racconto biblico.